Il racconto del Grillo, del M5S e del Codice nuovo votato dal popolo

Quando nel 60 d.G. (noi grillini misuriamo il tempo dalla nascita di Beppe, ndr) votai per la prima volta per il M5S, lo feci con aspettative diverse da quelle che la gente attribuisce a noi pentastellati, ci tengo a ribadirlo: sono meno cretino di quel che sembro. La storiella della scatoletta di tonno, per dire, è un esempio perdente in partenza, non me la sono mai bevuta. Quando mai un tonno è riuscito ad uscire dalla scatoletta da solo, aprendola dall’interno? Quelle son favolette che nonno tonno raccontava all’avannotto per rassicurarlo sulla presenza dell’aldilà, chi potrebbe prenderle sul serio? Il M5S, non ho mai pensato che sarebbe arrivato al potere; per una questione immunologica, perché un corpo estraneo non può innestarsi su un organismo alieno senza subire un rigetto irreversibile. Qualcosa avrebbe impedito al M5S di governare, e di questo sono ancora convinto, ma nulla poteva impedirgli un processo di simbiosi lenta e benefica.
I miei deputati me li prefiguravo come una sorta di giuria di X-Factor, dove X-Factor sarebbe il Parlamento italiano, e mi rendo conto che con l’esempio sto mortificando la serietà e professionalità del talent show.
Già mi vedevo il Dibba nei panni del Manuel Agnelli de noantri, non appena il PD avesse proposto un aumento degli stipendi ai parlamentari avrebbe fatto oscillare l’indice a mo’ di rimprovero “eh no, non ci siamo caro collega deputato. La tua proposta di legge ha dei pregi, l’hai scritta in bella calligrafia, sei riuscito a nasconderla bene nella finanziaria per gli aiuti ai terremotati, ma devo bocciartela perché io sono onesto e non ci dormirei la notte”. E così via, costringendo la politica ad un processo lento, costruttivo, di riabilitazione morale, ad un compromesso con l’onestà di un corposo gruppo di minoranza che la rappresentasse.
Invece qualcosa è andato storto, è finita al contrario. Mi sono trovato a votare per modificare il codice etico del M5S, a cercare un trait d’union tra i miei bei deputati onesti, onestissimi, e la feccia politica corrotta e malata, a mettere in conto che tutta quella gente su cui si è spalato merda per il solo fatto di essere indagata, adesso ce l’abbiamo dentro e la stiamo non solo riabilitando ma persino integrando all’interno del M5S. Non doveva andare all’inverso?
Intendiamoci, io sono per il garantismo e penso che qualsiasi politico finirà prima o poi nel registro degli indagati; dunque, sono per il compromesso, se no si rischia di scollare qualsiasi iniziativa politica dalla sua realizzabilità. Ma tale compromesso andava discusso, andavano stabilite delle condizioni, invece Grillo, al suo solito, ha fatto tutto da solo, stabilendo non soltanto il metodo ma pure il merito della questione; come nei bei tempi andati del fascismo. Lui, da solo, stabilisce che ci siano altre persone che decidano, su base arbitrale, quando un indagato lede l’immagine del M5S e quando non lo fa. Non funziona già così nella politica tradizionale? Non doveva decidere “la rete”? Io per Nogarin avrei pure messo una toppa ma per Marra no. Perché devono decidere degli arbitri scelti da Beppe?
E non parliamo delle bufale, della giuria popolare. Dove saremmo ora se fosse stata una giuria popolare a stabilire se la terra fosse piatta o meno? Con quale faccia tosta Grillo collabora con Tze Tze, spargi-bufala diretta emanazione della Casaleggio associati, e poi si permette di sentenziare su cosa sia bufala e cosa no?
Non ci siamo, non ci siamo davvero. Farò la fine di Civati, mi farò un partito e non mi voterò nemmeno io.

di Marco Camillieri