Nicolò Alongi, sindacalista contadino

Nicolò Alongi si definiva un “morto in licenza”. Di minacce e di attentati ne aveva subiti molti, ma non riusciva a fermarsi. Era presidente della Lega di Miglioramento e del Circolo Socialista di Prizzi, piccolo paese montano dell’entroterra palermitano.

Era cresciuto a terra e politica. Famiglia di contadini, entra giovanissimo nel movimento rurale dei Fasci Siciliani, spinto dall’esempio di Bernardino Verro, il sindaco socialista di Corleone che verrà assassinato nel 1915.

Sono anni di fermento e di lotta. I Fasci dei lavoratori vengono repressi da Francesco Crispi, l’iniziativa popolare e del partito socialista si arresta. Alongi però non si ferma, riesce ad evitare il carcere e dalla sua Prizzi inizia a convogliare forze e idee, a raccogliere seguaci e sostenitori. È lo sciopero del 1901, che si conclude con la vittoria dei contadini, a segnare il definitivo nascere di Alongi come sindacalista maturo e dirigente preparato. Un successo che sarà ripetuto anche nel 1907, quando viene eletto al Consiglio comunale a capo di una lista socialista.

Sono circa duecento i militanti che riesce a riunire nella sua Lega di Miglioramento. Sono operai e contadini, finalmente uniti, che combattono per le loro terre, per sottrarsi dalla tirannia di agrari e gabelloti.

Si arriva così al 1919 quando il Decreto Visocchi assicura affitti più bassi e convenienti fino ad arrivare all’assegnazione delle terre incolte. È un affronto troppo grande per gli interessi mafiosi. Le grandi famiglie di proprietari terrieri sono toccati nel cuore dei loro affari. E la loro risposta non tarda ad arrivare. Vengono uccisi Giuseppe Rumore, segretario della Lega, e Michele Zangara, assessore socialista di Corleone.

Alongi sa di essere il prossimo della lista. Ma sa anche che ormai la spinta di rinnovamento è segnata. Così continua a lavorare, a tenere comizi, a tessere rapporti. A lottare.

Sta andando ad una riunione della sua Lega, il 29 febbraio 1920, quando un colpo di fucile lo colpisce alla schiena e poi al petto. Aveva compiuto appena 57 anni. Le indagini sulla sua morte non portarono a nulla: qualche gabelloto fu arrestato e rilasciato il giorno dopo.

A poche settimane dalla sua morte sarà il deputato socialista Vincenzo Vacirca ad accusare il governo dell’epoca di dare alla mafia “la sensazione e la coscienza che si può uccidere perché polizia e giustizia sono cieche”.

di Lamberto Rinaldi