A proposito di governi prossimi venturi

C’è qualcosa di patetico, nel tentativo di Romano Prodi di resuscitare lo spirito dell’Ulivo tra le squallide macerie di quello che fu il centrosinistra in Italia. Non solo perché in esse vivono sempre i 110 ninja che lo crocifissero nel voto del 2013 per la presidenza della repubblica, ma soprattutto perché le diverse letture politiche, aggravate dalle reciproche inimicizie tra i diversi burattini (sarebbe ingiusto chiamarli protagonisti) sembrano rendere impossibile realizzare in tempi brevi un progetto condiviso per una legge elettorale, un programma, una forma consociativa, una maggioranza, un leader riconosciuto.
Tutto questo, oltre ad alcune antiche divisioni ideologiche e strategiche, è in buona parte il risultato delle scelte di Renzi.
Non ha avuto il coraggio di essere se stesso, di liberare il centrosinistra e di lanciarsi alla Macron nella realizzazione del partito della nazione (con il quale avrebbe convogliato consensi e maggioranze certe di centrodestra), ma ha invece preteso di rimodulare le macerie del fu Pd a strumento personale per le sue discutibili scelte politiche.
Ha svilito le primarie, ha stravinto la segreteria, ha forzato i dissenzienti alla scissione, sicuro di avere il suo “personale” tesoretto del 40% di sì nel referendum perduto .. “contro una accozzaglia di no”.
E si ritrova oggi il voto delle amministrative, con un centrodestra festante e non solo momentaneamente coeso, con un Pd sbaragliato e con una maggioranza assoluta di astensioni nel paese.

Astensioni che rappresentano un record negativo e pericoloso per l’Italia.
Astensioni che (come nel regolamento dell’ “ex defunto” Senato) sono un esplicito NO.
Sono un rifiuto del voto da parte dei tanti che nel referendum si sentirono invece personalmente coinvolti ed il 4 dicembre andarono alle urne.
E’ un NO contro tutti gli schieramenti, tutti minoritari rispetto al paese reale.. In particolare, soprattutto, contro il Pd, la sua gestione della cosa pubblica a livello centrale e in periferia, le sue vicende congressuali, lo spietato e meritato giudizio su Renzi come premier e come segretario. E non ultime le candidature, di partito o di coalizione a seconda di convenienze locali, che per gli elettori hanno significato squallida assenza di linea politica. Cioè un partito distrutto, incapace anche di rendersi conto della gravità della sconfitta.
Ma anche contro il M5Stelle, per il quale il passaggio da movimento di dura opposizione a partito di governo presenta difficoltà emerse soprattutto nel primo turno elettorale, tali da far pensare a qualche riflusso alle elezioni politiche.
Anche il centrodestra non può illudersi troppo dell’innegabile consenso ricevuto, perché non sarà facile, a livello politico nazionale, presentare una proposta vincente che concili nazionalismi e moderatismi, nonchè contrapposte istanze del nord e del sud Italia.

Adesso le attenzioni, a parte l’analisi del voto verso in quali aree e per quali motivi l’astensione è variata, saranno tutte indirizzate verso il possibile futuro post elezioni politiche della primavera 2018 (salvo poco probabili, al momento, accelerazioni settembrine).
Per la legge elettorale, il morituro parlamento si ingegnerà a partorirne una, non importa quale, è sperabile solo che non abbia caratteristiche di incostituzionalità. Nel frattempo, il governo Gentiloni terrà in caldo la posizione e si faranno avanti le candidature per la successione per un governo che sarà quasi certamente transitorio.
Per il Pd, il candidato sarà certamente Renzi, con o senza primarie, con o senza coalizioni. Quindi è prevedibile una nuova, drammatica sconfitta.
Per il M5Stelle, salvo novità da parte del duo Grillo-Casaleggio, il candidato dovrebbe essere Di Maio (sembra anzi che sia quasi pronto l’intero governo ombra, si pensa con meno problemi di quello della Raggi per Roma).
Nel centrodestra la candidatura di Berlusconi sembra improbabile nei tempi, perché legata ad una sentenza positiva della Corte di Strasburgo contro la legge Severino, con seduta non prima di ottobre e con sentenza dopo parecchi mesi. Quindi sarà una decisione sofferta dentro la coalizione.

Sarà un governo quasi certamente transitorio. Certamente di minoranza nel paese, perché non potrà illudersi di parlare per il popolo infinito degli astenuti. Forse di minoranza anche in parlamento, per preparare nuove elezioni. Forse a tempo, su alleanze a programma concordato, se ci fossero condizioni di possibili maggioranze, probabilmente di alternanza, dopo tre anni di sedicente centrosinistra con la mucca nel corridoio.

E dopo la transizione, forse, un governo più maturo. Con una forza di centrosinistra vera, senza ammiccamenti a destra. Che pensi al lavoro alla giustizia, agli ultimi senza difesa, Che combatta davvero l’evasione fiscale. Vedremo. E’ giusto sperare, è giusto crederci.
Forse, come è accaduto il 4 dicembre, si avranno situazioni nuove, che chiamino la gente a votare. E c’è da credere che potrebbero nascere forti novità, di speranza o di rivolta, e c’è da sperare “per” e non “contro”.
Per avere un’Italia più pulita, più onesta e consapevole dei diritti degli altri e dei propri bisogni.
Un’Italia come quella che con la Resistenza si era liberata dal fascismo, che aveva dato il voto alle donne, che era diventata una repubblica fondata sul lavoro, che si era data una Costituzione esemplare.
Vedremo. E’ giusto sperare, è giusto crederci.

di Carlo Faloci