Cristina da Pizzano: La Dama Blu

Alla fine degli anni 70 l’artista Giudy Chicago ha realizzato il Dinner Party, un’installazione monumentale (esposta per 7 anni al Brooklin Museum di New York e poi portata in giro per il mondo), che celebra le conquiste delle donne nella civiltà occidentale: un ricco tavolo da banchetto triangolare, apparecchiato per 39 ospiti d’onore, tutte donne, che poggia su un pavimento di porcellana. Sul pavimento sono incisi i nomi di altre 999 donne che hanno offerto un contributo importante alla Storia.

Tra i posti d’onore del Dinner Party, di fronte a Virginia Wolf, la tavola è apparecchiata per Cristina da Pizzano.

“Io nacqui da nobili genitori italiani”

(Christine de Pizan, 1365-1430)

Ci sono vite che cominciano lisce e piane come un’autostrada di pianura e all’improvviso sterzano sugli sterrati della difficoltà: quella di Cristina da Pizzano è una vita così, di quelle che sbandano senza avvisare.

Figlia di bolognesi immigrati in Francia, Cristina cresce a Parigi. A suo padre, medico e professore universitario di Bologna, deve la sua educazione. Legge molto, studia i classici, anche se il matrimonio e l’arrivo dei figli la tengono occupata. A venticinque anni -all’improvviso- si ritrova orfana di padre e vedova, con una famiglia numerosa da sfamare, l’eredità di una situazione economica disordinata, con matasse di debiti e crediti difficili da sbrogliare e una pena nel cuore inconsolabile per la perdita del marito tanto caro. Cristina è giovane, potrebbe sposarsi di nuovo o ripararsi all’ombra di un convento, cedere al destino e smorzare con una scelta scontata e tranquilla il vento contrario che le soffia in faccia. Sceglie invece di risalire la corrente giocando la sua carta migliore: il sapere; in un mondo ostile alle donne decide di misurarsi con i letterati -uomini- della sua epoca. Chi legge molto solitamente molto scrive. E Cristina, che ha molto letto, si mette a scrivere. Perché lo sa fare, perché così si consola, perché si cura l’anima, perché si fa conoscere, compone ballate e poesie. Sarà per le sue conoscenze altolocate, sarà perché quando l’anima è pronta allora anche le cose sono pronte, in poco tempo la sua scrittura arriva là dove deve arrivare: negli ambienti che contano. Le viene commissionato un libro di storia. Cristina conosce il mestiere della calligrafia, è istruita, ha competenza artigianale libraria e intelligenza e la fortuna di poter accedere alla biblioteca del Louvre per studiare e documentarsi: scriverà a pagamento. Per realizzare il suo primo libro assume miniaturisti, copisti, rilegatori e costruisce da sè la sua azienda e la sua opera prima. Mai una donna aveva scritto un libro di storia. E un libro, nella Parigi dell’inizio ‘400 (Cristina vive nel Medioevo), in un mondo nel quale le donne non sanno leggere e tanto meno scrivere…un libro è merce rara, si realizza ancora a mano e a mano si illustra, è un oggetto unico, particolarmente costoso e prezioso e dev’essere esteticamente bello. Cristina si occupa personalmente dei testi, delle correzioni, della scrittura, dell’impaginazione, della grafica e dell’illustrazione. E’ brava, ha successo, di libri gliene chiedono ancora. Diventa autrice di best-sellers, scrittrice su commissione e imprenditrice; dirige la sua casa editrice e all’inizio di ogni suo libro si fa ritrarre sempre allo stesso modo: in una miniatura, vestita di una tunica da lavoro. E’ lei l’inizio del libro, è lei che decide come dobbiamo vederla e pensarla. E’ la sua immagine che attraversa i secoli, che connota il libro, è in quella rappresentazione di sè sempre uguale che Cristina abita il suo nome, in ogni pagina prima; la tunica liscia dipinta di blu con cui si fa ritrarre è la divisa di intellettuale laica, è la cifra stilistica di Cristina, è la garanzia dell’autorevolezza dei contenuti dei suoi libri e del suo modo accurato di lavorare.

Dai suoi libri sembra dire: “Io penso, io scrivo, dunque sono”.

“Chi ha la testa china e gli occhi bassi non può guardare la luce”

(Christine de Pizan, 1365-1430)

Cristina nei libri alza la voce, il suo pensiero si fa autorevole in un’epoca in cui le donne che contano sono pochissime e talmente fuori dall’ordinario che incontrano la santità o il rogo. O entrambe le cose, come succede a Giovanna D’Arco. Cristina, che nei suoi libri si occupa di storia, di politica, di economia, non parla in nome di Dio come Caterina da Siena, non ha un mandato divino come la Pulzella di Orleans, ma un progetto personale, ambizioso, che perseguirà con determinazione per 30 anni: cambiare il mondo perché diventi un posto più adatto alle donne. Nel suo libro “La città delle dame”, del 1405, immagina un luogo nel quale le donne, considerate meno capaci degli uomini, possano trovare rifugio.

“…Non è nella natura l’inferiorità delle donne. Se ci fosse l’uso di istruire le fanciulle come si istruiscono i maschi, con esperienze ricche varie, forse arriverebbero a uguali risultati…”

(Christine de Pizan, 1365-1430)

Cristina, per arditezza ed educazione capace di abitare più secoli, intellettuale fuori tempo, ha lasciato nei suoi scritti considerazioni che qualunque assessore alle pari opportunità oggi potrebbe sottoscrivere. Donna del Medioevo, dimostra quanta coscienza di certi princìpi abbiamo alle spalle e quanta difficoltà abbiamo ancora ad affermarli.  Al centro della sua storia c’è l’educazione: in un contesto storico nel quale per una donna esistere non era semplice, l’istruzione è stata il marchio della sua differenza.

Sono chiusi nei libri i soli futuri possibili, come dice Malala Yousafzai, giovanissima premio Nobel per la pace:

“Abbiamo capito l’importanza delle penne e dei libri quando abbiamo visto le armi. Gli estremisti hanno paura del potere dell’educazione. Ovunque ma ancora di più in alcuni Paesi i diritti dei più deboli, a cominciare da quelli delle ragazze, si ottengono se prima di tutto si ottiene il diritto all’istruzione.”

di Daniela Baroncini