La nuova, antica, schiavitù di Puglia

Gli schiavi esistono ancora, così come i ghetti. Li puoi trovare ovunque, anche in Italia, tra baraccopoli senza elettricità ed acqua dove regna povertà, violenza e criminalità.
Li puoi trovare in Puglia, a pochi chilometri dalle spiagge piene di turisti, nel quadrato tra Foggia, Taranto, Lecce e Brindisi. È la patria dell’oro rosso, il pomodoro, che da qui parte alla volta della Campania dove viene trasformato in polpa e pelati per i nostri supermercati.
Ogni anno sono quasi 20.000 i braccianti impiegati nella raccolta dei pomodori. Vengono da tutto il mondo, soprattutto dall’Africa ma anche dall’est Europa. La paga è per tutti la stessa: tre euro all’ora, dalle 6 del mattino fino a sera. La base è eterogenea: gli schiavi sono polacchi e senegalesi, nigeriani e bulgari. Così come i caporali, divisi per nazionalità, a controllare i loro compatrioti.
Sono loro gli intermediari tra i padroni e i braccianti: rintracciano, reclutano, organizzano, minacciano. Ma soprattutto guadagnano. Si intascano metà della paga giornaliera, chiedono l’affitto per materassi, grotte e baracche e per trovare un posto di lavoro vogliono in cambio favori sessuali da amiche o parenti degli operai. Se la benzina del motore dell’oro rosso sono gli schiavi, gli ingranaggi sono loro. Giostrano i braccianti che controllano, si fanno pagare perfino il trasporto fino al campo di lavoro. Ma nella gerarchia della schiavitù 2.0 anche loro hanno un padrone.
Nei campi di pomodori e in quelli di cocomeri e meloni, anche i caporali hanno paura di qualcuno. Sono gli italiani, i proprietari o i figli del padrone. Arrivano sul terreno in fuoristrada, camicia e occhiali da sole. Controllano se tutto va bene. Sudano anche loro ma solo per il caldo. I caporali abbassano la testa e quando ci sono loro si fanno vedere più cattivi: nessuno deve fermarsi, nessuno deve parlare altrimenti sono botte.
È questa la legge che regna nella terra dell’oro rosso. La stessa terra che un secolo fa vide le proteste sindacali di Giuseppe Di Vittorio, costretto ad abbandonare la scuola per diventare bracciante. Ad appena 8 anni vide morire sul campo il suo amico d’infanzia, Antonio Morra, colpito a morte dalla polizia del Regno d’Italia. Stava protestando per i suoi diritti di lavoratore, a 14 anni.
Le parti oggi si sono invertite. Sono i senegalesi, gli albanesi, i nigeriani a protestare per gli stessi diritti. Ma le rivolte non riescono a concretizzarsi. Sono una scintilla che non diventa mai incendio. Una fiamma spenta con spranghe e pistole.

di Lamberto Rinaldi

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