INCIUCELLUM

Quando don Abbondio deve spiegare a Renzo che non celebrerà il suo matrimonio, per non confessare la verità, comincia a parlar latino: “Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas…” Il povero Renzo, confuso da quei paroloni, taglia corto: “Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?”. A quanto pare, l’Italia non è molto cambiata da quei tempi: quando i politici ci vogliono fregare, anche loro ricorrono al latinorum: ”mattarellum, porcellum, consultellum, italicum, tedeschellum, rosatellum…” Qualche altra volta ricorrono all’inglese: “jobs act”. In Francia, dove la legge sul lavoro è stata più schiettamente denominata “loi du travail”, i sindacati ed i lavoratori sono scesi in piazza compatti, facendo tramontare la legge assieme con Holland. Da noi l’inglese ha funzionato: la legge (scusate, volevo dire: the act) è stata approvata, le proteste sono state molto più timide. Ma quando si tratta di una cosa importante come il sistema elettorale, allora è meglio andare sul sicuro. Il latino è più adatto a infinocchiare il popolo, fa pensare a cose serie come la messa di una volta o il Corpus Iuris Iustinianeum, una cosa serissima, che ancora si insegna agli studenti di giurisprudenza.

Già solo per questo, il “rosatellum” sa di fregatura. Ne sono convinti anche i suoi fautori, che non hanno sprecato parole per tentare di spiegarne i benefici. L’unico argomento usato è che bisogna far presto, e qualunque legge è meglio della mancanza di una legge. Ma con tutto il tempo che hanno avuto (ormai un’intera legislatura) non potevano far meglio? È il solito argomento, con il quale giustificano la necessità e la fretta di approvare una legge brutta. Che sia una brutta legge non ce lo insegna soltanto il Manzoni con il ricorso al latinorum, ma anche il Vangelo (Mt 5,17): “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.” Voglio dire che esistono nel mondo sistemi elettorali maggioritari e sistemi proporzionali: di ciascuno si sanno i pro e i contro e ogni Paese ha il suo sistema. Ma nessuno ha questo guazzabuglio elettorale. I nostri “rappresentanti” hanno deciso di non dire si, si o no, no (maggioritario o proporzionale): loro dicono ni, so (cioè rosatellum), evidentemente ispirati “dal maligno”. C’è, infatti, un 64% di proporzionale ed un 36% di maggioritario: non si sa perché, e nessuno lo spiega. Ma poi c’è una scheda unica, in cui (pena la nullità del voto) si può votare soltanto per il candidato “uninominale” collegato alla lista del proporzionale. A ben vedere, è una sorta di lista “bloccata”, che rientra dalla finestra e che non somiglia molto al voto maggioritario come storicamente si conosce: dove si sceglie semplicemente un candidato, che si gioca il seggio in prima persona. In un certo senso, nel maggioritario è la credibilità del candidato che porta voti al partito; nel proporzionale e nel “rosatellum” è il partito (o la coalizione) che fa eleggere il candidato.

Ecco che quel 36% di maggioritario si scioglie come neve al sole.

Ed ecco perché il maggioritario vero è così aborrito dalla “casta”: perché bisognerebbe avere candidati credibili, e perché l’elezione non è garantita per nessuno. Poi c’è la soglia di sbarramento, che è variabile: 3%, 10%, 1% a seconda dei casi (si, si; no, no). E le candidature plurime, mentre gli studenti non possono neppure fare il concorso di ammissione in due diverse università: loro no, i candidati sì: sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.

Ma perché un Parlamento di nominati, eletti (si fa per dire) con una legge ufficialmente incostituzionale, si ostina a voler fare leggi così importanti? Sì, sì; no, no: sono o non sono un po’ abusivi?

E poi c’è la strana storia della fiducia.

Si capisce bene il perché ufficiale: impedire che vi siano emendamenti, approvati magari a voto segreto (ma poi, che c’è di male?). Si cerca di nascondere il perché più vero: neanche le segreterie di partito si fidano dei loro “nominati”.

E poi c’è un fatto storico.

Se è vero che non è la prima volta che un governo pone la fiducia sulla legge elettorale (i precedenti non sono consolanti: legge Acerbo e “legge truffa”), è certamente la prima che una maggioranza pone la fiducia per essere sicura di non vincere le prossime elezioni.

 di Cesare Pirozzi