Non solo cibo

Cibo come stile di vita. Mangiare per gli antichi romani era un rito. Alla faccia dei moderni fast food, dedicavano al cibo buona parte della giornata.

Tre volte al giorno. Tre erano le tappe quotidiane da dedicare al cibo. Proprio come oggi. Colazione, pranzo e cena. Noi spesso mangiamo con i ritmi imposti da una società che ha fame di tempo, si corre, verso dove non si sa, ma si corre. E allora il tempo per mangiare si riduce. Pasti frugali ingurgitando di tutto, in favore del colesterolo, del fegato, della colite, della pressione arteriosa e quant’altro una cattiva alimentazione può provocare. I nostri avi lo avevano capito. Mangiare per loro era un rito. Uno spazio della giornata da dedicare esclusivamente al cibo.

Cappuccino, caffé e cornetto, questa è la colazione per la maggior parte di noi. Per l’antico romano non era così. Al mattino consumava una frugale colazione a base di pane e formaggio, rigorosamente preceduti da un bel bicchierone d’acqua (jentaculum). Erano sconsigliate colazioni abbondanti. La seconda tappa era il pranzo. Oggi noi non sappiamo più come pranzare, panini, cibi precotti, hamburger, mense aziendali dove i sapori delle portate, quasi sempre surgelate e precotte, sono miseramente uguali. Tutto in virtù del tempo. L’antico romano sapeva bene come fare. A mezzogiorno, consumava un paso leggero a base di carne fredda, pane, frutta e vino. Spesso mangiava in piedi (prandinium). ll pranzo principale per lui invece era quello che andava dalle 16 del pomeriggio fino a tarda sera.

Per noi oggi, la cena è uno dei pochi momenti di incontro. È un momento dove si scaricano tensioni e tranquillamente si mangia “dialogando” (salvo televisione) con familiari o amici. ln genere dedichiamo alla cena massimo un paio di ore, esagerando. I nostri avi invece avevano vero e proprio rituale nel cenare. Si mangiava in locali chiamati triclini ammobiliati con tre divani, su cui ci si accomodava sdraiandocisi. Al centro era posta una tavola per le vivande, il numero  ideale dei commensali era di nove. Comunque sempre in multiplo di nove, i triclini erano generalmente a tre posti. Il massimo dei commensali era comunque di trentasei persone. Le donne furono ammesse solo in età imperiale. I ragazzi dovevano invece consumare stando seduti su degli scranni. Gli schiavi preparavano il cibo, il loro posto era a terra ai piedi del loro padrone.

Ma come si mangiava su un triclinio? Per noi può sembrare difficoltoso, ma per l’antico romano era normale. Sdraiato appoggiato sul braccio sinistro, attingeva il cibo con il braccio destro, probabilmente consideravano più scomodo mangiare seduti. È noto che Catone fece voto solenne mangiando seduto fintanto che non fosse stata sconfitta la tirannia di Giulio Cesare. Il vino e le portate erano servite da schiavi di bell’aspetto, vestiti con tuniche sgargianti. C’era anche chi era designato a sovrintendere al banchetto. Esso era il triclinarca che aveva anche il compito di scegliere il vino e di stabilirne le proporzioni con l’acqua. Vino che non era mai bevuto assoluto, in quanto troppo denso. Il rituale si apriva lavandosi la mani in acqua profumata. Si iniziava con il gustatio, il nostro antipasto. Stuzzichini e vino mielato per passare alla primae mensae, composta da sette portate. Poi, per finire si passava alla secondae mensae, a base di stuzzichini piccanti che favorivano il bere.  ll cibo si portava alla bocca con le mani, l’unica posata era il cucchiaio. ll coltello non serviva, perché il cibo veniva sminuzzato dagli schiavi.

L’allegoria non mancava, quasi sempre cantanti e mimi erano presenti al banchetto.

Probabilmente cenare in questo modo era appannaggio delle classi sociali più facoltose, il popolo, la plebe sicuramente mangiava cene più frugali e meno sontuose. D’altronde un po’ come oggi, la distinzione tra il ricco e il povero passa anche per il cibo.

di Antonella Virgilio

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