Ho 16 anni e sono fascista

Silvia è sbarcata da poco al liceo. Nuove aule, nuovi edifici, nuove strade, nuovi compagni, una geografia ancora tutta da esplorare, una rete di rapporti ancora tutta da tessere. Oggi Silvia tornando da scuola ha portato a casa una nuova domanda: una sua compagna le ha detto di “io sono fascista”. Ma cosa vuol dire “essere fascista”? Silvia non lo sa.

A rispondere alla domanda di Silvia e di tanti altri ragazzi come lei ci ha provato Christian Raimo, classe ’75, professore in un liceo statale di Roma, insegnante di storia e filosofia, scrittore per Minimum Fax e articolista per L’internazionale, molto attivo negli ambienti dell’editoria romana e del web più intellettuale. L’inchiesta, durata mesi, che Christian Raimo ha realizzato tra i giovani studenti e gruppi di estrema destra, è diventata un libro dal titolo “Ho 16 anni e sono fascista”.

“Io sono fascista” mi dice un ragazzino di tredici anni. Sarà alto un metro e quaranta, è ancora in terza media. “Pure io sono fascista” dice un suo amico. “Anche io, siamo tutti fascisti”…”Per me il fascismo è una moda”. “Si, anche per me è una moda”. “Io sono fascista, certo, per moda” mi ripetono in cinque, dieci, venti i ragazzi di Roma, di Milano, di Firenze, di Padova, di Palermo. E magari me lo confermano con quello che hanno indosso.

(esiste una linea di abbigliamento legata a CasaPound)

 Per immaginare il domani del nostro Paese è necessario capire cos’è la politica per i ragazzi di oggi.

“Vuoi capire quello che succede nella politica tra i ragazzi? Devi seguire la scena di Roma. Tutto accade a Roma, è una specie di piazza per capire come muoversi negli altri posti.” dice uno dei capi dei vari movimenti intervistato. La politica studentesca è romanocentrica e Christian Raimo è andato in giro soprattutto a Roma, ha incontrato giovani e giovanissimi che oggi militano nelle formazioni di una destra estrema/radicale/neofascista, ha letto i loro testi di riferimento, ha interrogato i loro leader, ha assistito alle loro manifestazioni pubbliche, per scoprire che la politica nella destra radicale è soprattutto una forma di esibizione. Dall’inchiesta di Raimo emerge come i movimenti neofascisti abbiano facile presa sui giovanissimi, come agiscano sugli adolescenti con la fascinazione dei simboli, delle bandiere, dei gesti, degli slogan facendo leva soprattutto sulle emozioni, al pari dei cori da stadio. La coscienza politica, in tutto questo rumore, passa in secondo piano. Dichiararsi fascisti è diventato addirittura elemento qualificante di una nuova identità cercata in contesti sempre più ampi.

Tra chi si dichiara fascista per moda e chi del neofascismo ha fatto uno stile di vita e un impegno politico, la differenza è immensa. I giovani attivisti fascisti lavorano con una pianificazione meticolosa per ottenere una presenza capillare sul territorio, usano i media e internet in un modo per niente dissimile da quello dei collettivi sociali di opposto orientamento, sottostanno a un loro severo decalogo: devono essere molto disciplinati, devono avere il coraggio dei forti, non quello dei disperati, non devono assumere droghe. La militanza politica, di fatto, è dura: riunioni serali continue, volantinaggio la mattina presto, incontri organizzativi, incontri culturali. Una strada senza ritorno, scrive Raimo, nel senso che se qualcuno decide di andarsene da quella comunità, magari lo chiudono in una stanza e lo picchiano. Si dichiarano violenti solo in caso di difesa, anche se l’ossimoro della sana scazzottata è una delle solide certezze del pensiero dei giovani neofascisti. L’idea, insomma, di prendere la scorciatoia della violenza per far valere le proprie idee e far tacere chi non la pensa come loro è sempre viva.

Il senso dell'”antifascismo” si è perso con la memoria delle vicende storiche del 900 e le idee su quello che è stata l’oppressione del nazismo, del franchismo e del fascismo in Europa sono ormai un’approssimazione: nei giovanissimi mancano ormai del tutto gli anticorpi antifascisti. Su di loro hanno invece facile presa le grandi paure xenofobe della globalizzazione, che nutrono il mito razzista della “grande sostituzione”, incitano alla violenza sui più deboli e si insinuano negli spazi democratici delle scuole e delle università. Ho 16 anni e sono fascista, più che un libro, è una sirena d’allarme, lo specchio del futuro politico inquieto che ci attende e riflette una preoccupante ombra nera sul nostro destino.

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