Turchia: Erdogan succede a se stesso

Quindi Recep Tayyip Erdoğan succede a se stesso. Dopo la vittoria ottenuta con il 52,5 percento dei voti alle elezioni del 24  giugno, resterà al potere fino al 2.023. Alla fine del mandato avrà alle spalle venti anni di potere ininterrotto. E potrà ricandidarsi.

La sua carica, enormemente rafforzata dopo la controversa riforma costituzionale che ha trasformato il precedente sistema parlamentare in uno presidenziale con un fortissimo accentramento dei poteri, gli consentirà di nominare giudici, vicepresidenti e ministri. Di approvare decreti, nominare e avviare indagini sui funzionari, sciogliere il parlamento e decretare lo stato di emergenza.

Sicuramente il risultato elettorale non è stato ottenuto con un voto libero. Erdoğan, che controlla direttamente i mezzi d’informazione statali è riuscito in questi anni, grazie ad opache manovre finanziarie e persecuzioni giudiziarie, a estendere la sua influenza sui quotidiani e sulle tv private.

Inoltre, molti dei principali oppositori sono stati arrestati, sono state messe in campo fortissime limitazioni allo svolgimento della campagna elettorale dei partiti di opposizione e non sono mancate le intimidazioni verso gli attivisti politici.

In queste condizioni il 30 percento ottenuto dal principale candidato dell’opposizione, Muharrem Ince del Partito Popolare Repubblicano (CHP), potrebbe apparire un buon risultato, una base di partenza sulla quale costruire una futura vittoria. Molti analisti segnalano però il rischio che la partecipazione a elezioni in un sistema dove le regole democratiche sono calpestate, dove quindi il gioco non è alla pari, alla fine risulti utile solo a Erdoğan che ottiene così una legittimazione delle sue vittorie.

Le sfide che il rieletto presidente si troverà ad affrontare, però, non saranno semplici. La crescita economica si è fermata e il paese sta attraversando una crisi che è anche politica, dopo i fatti seguiti al fallito colpo di stato.

Alle contestuali elezioni per il rinnovo del parlamento, il partito del presidente (AKP) ha perso, nonostante il sostegno dei media, 7 punti percentuali scendendo al 42,5 percento.

L’alleanza stretta con i Lupi Grigi e il loro strumento politico, il MHP, un partito di estrema destra nazionalista ferocemente contrario a qualsiasi politica di riconciliazione con i curdi, che ha raccolto l’11 percento dei voti gli consentirà di ottenere la maggioranza parlamentare ma avrà un suo costo.

Il partito di opposizione CHP ha raccolto il 23 per cento dei voti, meno del suo candidato presidente, mentre il Partito democratico dei popoli (HDP), curdo e di sinistra, è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 10 per cento, ottenendo l’11,7 per cento dei voti.

Non è da sottovalutare, poi, che il consenso di Erdoğan è molto  legato al favore della parte più povera del paese che gode di una rete di sostegno governativo. Sostegno che la crisi economica rischia di spazzare via, e con esso, il favore elettorale.

Nonostante la vittoria, Erdoğan rischia di essere un’anatra zoppa.

di Enrico Ceci

 

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