Generazione reddito di cittadinanza

Se dovessi scegliere l’immagine simbolo della settimana appena finita sarei indecisa tra quella del Premier Giuseppe Conte che in stile ring girl mostra accanto a Matteo Salvini il decreto sicurezza che porta il nome del Ministro degli Interni in bella vista (tale è il rilievo politico del Premier che Salvini lo ha persino tagliato dalla foto al momento di postare la notizia sulla sua pagina Facebook) e quella di Luigi Di Maio, seguito dai ministri del Movimento 5 stelle, che esulta con le vene di fuori dal balcone di Palazzo Chigi  per essere riuscito a chiudere l’accordo sul Def con il deficit al 2,4% e aver garantito così l’introduzione del tanto decantato reddito di cittadinanza, il tutto mentre uno stuolo di parlamentari del Movimento 5 stelle sventola bandiere e festeggia in piazza.

Forse opterei per Di Maio.

Faccio parte di quella generazione di quasi trentenni che il dramma della disoccupazione giovanile se lo è vissuto in pieno. Faccio parte della generazione degli stage, dei voucher, del lavoro in nero e sottopagato, delle lauree sudate e poi buttate nel cesso o nella friggitrice di qualche McDonald’s.

Il 30,8% di noi (questa la percentuale rilevata dall’Istat alla fine dell’Agosto appena trascorso) è disoccupato. Per tanti di noi il reddito di cittadinanza potrebbe essere una manna dal cielo: 780 euro garantiti in cambio di 8 ore a settimana di lavori socialmente utili; il tutto mentre i centri per l’impiego (totalmente da riformare visto che, secondo i recenti dati pubblicati dal Sole 24 ore, solo il 3,4% degli italiani avrebbe trovato lavoro grazie a una di queste 501 strutture sparse sul territorio) dovrebbero occuparsi della ricerca di opportunità lavorative per i disoccupati che usufruiscono del reddito di cittadinanza. 

Domani devo sostenere l’ennesimo colloquio per cercare di ottenere un lavoro che nulla ha a che vedere con ciò che ho studiato. Il contratto che mi propongono è da stagista, la paga non mi basterebbe a sopravvivere nemmeno un mese fuori da casa dei miei, le possibilità di passare ad un contratto migliore molto vaghe. Mentre rifletto su cosa indosserò domani (pare che il capo abbia un dress code piuttosto stringente!) penso a quelle opportunità lavorative che i centri per l’impiego dovrebbero cercare per me e per quelli come me e non riesco a fare a meno di chiedermi da dove questi nuovi posti di lavoro potrebbero saltare fuori.

Mi chiedo anche quanto la possibilità di richiedere questi famosi 780 euro possa incentivare il lavoro nero che, forse, in una simile situazione gli stessi lavoratori finirebbero per preferire, scegliendo volontariamente di calpestare i proprio diritti in cambio di assistenza da parte dello Stato, diventando merce elettorale nelle mani del Movimento 5 Stelle e della Lega.

Non credo di parlare soltanto a nome mio quando dico che tanti, tantissimi di noi giovani questo reddito di cittadinanza non lo vogliono. Tanti, tantissimi di noi non lo vogliono perché non è ciò che ci aspettavamo quando ci siamo iscritti all’università sognando di fare i medici, gli insegnanti, gli avvocati; non è ciò che volevamo quando i nostri genitori, i nostri nonni hanno cercato di insegnarci un mestiere, nella speranza che questo potesse renderci padroni delle nostre vite, capaci di portare dignitosamente a casa un pezzo di pane senza andare ad elemosinare danaro da partiti che ci pagano per ottenere i nostri voti. 

A tanti, tantissimi di noi non interessa ricevere 780 Euro se solo da Gennaio ad oggi 713 persone sono morte sul lavoro senza che né questo governo né il precedente muovessero un dito. Non ci interessa che i centri di impiego ci trovino un lavoro se questo lavoro continua ad essere sottopagato, precario; se per lavorare dobbiamo persino rischiare la vita.

Storcono il naso i pentastellati quando si parla di assistenzialismo. Forse assistenzialismo nemmeno lo è ma non è questo il punto. Il punto è che il reddito di cittadinanza non crea posti di lavoro, non offre nuove opportunità ai giovani, non restituisce dignità ai lavoratori, non mette neanche lontanamente una pezza a una disoccupazione giovanile che fa paura.

Mentre decido di optare per un classicissimo pantalone, che spero risponda ai gusti di chi mi farà il colloquio, mi viene in mente che questi sarebbero proprio i temi cari alla sinistra se solo questa si ricordasse che essere di sinistra non è solo uno slogan per attirare vecchi nostalgici che ancora si illudono che basti votare Pd per non essere di destra. 

Io il reddito di cittadinanza non lo voglio, non vorrei nemmeno dovermi preoccupare di indossare dei pantaloni che piacciano a quello che potrebbe essere il mio futuro capo altrimenti rischio di non ottenere il posto di lavoro. Vorrei lavorare dignitosamente, come tanti altri ragazzi e ragazze della mia età. Vorrei anche che pretendere di mettere in pratica ciò per cui abbiamo studiato magari per anni non non fosse considerato, in questa nostra società al contrario, un’arrogante pretensione e che ci si indignasse, invece, quando qualcuno vuole farci credere che bastano 780 Euro per restituirci la speranza di un futuro migliore. Vorrei anche che la sinistra tornasse a fare la sinistra, se non chiedo troppo.

di Martina Annibaldi