Don Minzoni ucciso a bastonate dai fascisti

Il Matteotti cattolico. Il prete scomodo. Un antifascista. Un cristiano. Don Giovanni Minzoni fu assassinato dai fascisti il 23 agosto del 1923. Ucciso a bastonate perché non si era piegato al fascismo. Un sacerdote, bastonato a morte, perché stava con la gente. Un prete, bastonato a morte dai fascisti perché predicava l’amore cristiano, la non violenza, il pacifismo. Don Minzoni, non si era piegato alla dittatura fascista e i fascisti lo hanno massacrato a bastonate.

Don Minzoni, era critico anche con la Chiesa, la sua Chiesa, a cui rimproverava di essere troppo lontana dai poveri, di essere troppo lontana dai bisogni, e troppo vicina ad un sistema dittatoriale violento.

Don Minzoni, don Tonino Bello, don Lorenzo Milani, tre preti scomodi, tre sacerdoti non capiti dalla stessa Chiesa, anzi ignorati. Tutti e tre avevano capito che la Chiesa doveva cambiare, abbandonare lo stile prettamente clericale, tornare alle origini per parlare alle donne e agli uomini del mondo contemporaneo. Tre preti che hanno anticipato, con il loro agire, il papato di Francesco. Tre sacerdoti perfettamente in linea con le encicliche di Bergoglio. Tra uomini di Chiesa, di questa Chiesa francescana. Don Minzoni parroco ad Argenta, provincia di Ferrara, terra tradizionalmente socialista, si oppose al fascismo “perché prete, perché pastore danime, in virtù della fede” disse l’arcivescovo Tonini.

Fu trucidato a bastonate in testa, dai fascisti locali, perché aveva osato contrapporre il modello Cristiano di educazione dei giovani a quello del regime fascista e non aveva timore a criticare i modi violenti del fascio locale.

Don Minzoni appena arrivato nel paese istituisce il doposcuola, il ricreatorio, chiama i giovani a se e gli parla della fratellanza, della carità, del sentirsi solidali con i più deboli, di accogliere e condividere. Don Minzoni, come Papa Francesco, parlava dei valori cristiani, della etica e della morale dei cristiani. Della forza del sentirsi fratelli tutti. Discorsi che davano fastidio ai fascisti del ferrarese. Insegnamenti che si contrapponevano alla ideologia violenta dei fascisti. Mise in piedi una biblioteca è un teatro, parlava un linguaggio moderno, non compreso neanche dalla sua Chiesa, che spesso criticava l’immobilita e per il troppo clericalismo.

Si schiera al fianco dei contadini e operai che chiedevano migliori condizioni di lavoro e salariali. Condivide le lotte sociali chiamando i cattolici a sostenerle, si iscrive al partito popolare di don Sturzo.

Don Minzoni era scomodo. Un prete scomodo. Un sacerdote seguito dalla gente. Questa sua popolarità, questo suo impegno sociale, dava fastidio ai gerarchi fascisti che non tolleravano più di essere criticati.

Pochi giorni prima di essere massacrato a bastonate dai fascisti, scrisse ad un amico prete: “Quando un partito fascista, quando un governo, quando uomini in grande o piccolo stile denigrano, violentano, perseguitano un’idea, un programma, per me non vi è che una soluzione: passare il Rubicone e quello che succederà sarà sempre meglio che la vita stupida e servile che ci si vuole imporre”.

Alcuni giorni dopo, il 23 agosto del 1923 viene trucidato a bastonate in testa da due fascisti, mentre tornava in chiesa con un amico. Muore a mezzanotte con il cranio fracassato. Gli assassini al processo furono assolti. Sul delitto cadde il silenzio. Dopo la caduta del fascismo, l’indagine riaperta, ma gli assassini e i mandanti furono amnistiati.

Claudio Caldarelli – Eligio Scatolini

 

 

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