Addio a Ágnes Heller, tra le intellettuali più influenti del Novecento.

Scriveva così Ágnes Heller in un libro pubblicato recentemente da Castelvecchi dal titolo Il valore del caso. La mia vita: “La libertà non permette nessuna soddisfazione immediata dei bisogni, nessuna felicità, neanche la sicurezza personale. Caino era libero di scegliere tra il bene e il male e scelse il male”.
In questa frase si racchiude il credo della grande filosofa ungherese morta il 19 luglio durante una nuotata nel lago Balaton. E’ morta facendo con entusiasmo ciò che voleva, seguendo la vita che da sempre le vibrava intorno.
Ágnes era nata a Budapest il 12 maggio del 1929, è sopravvissuta ad Auschwitz e alle persecuzioni del regime comunista. Fu allieva del filosofo marxista Goerg Lukacs, divenne una dei principali esponenti della “scuola di Budapest”, corrente critica del socialismo. Negli ultimi anni era entrata in aperto conflitto con il premier sovranista Viktor Orbán che la estromise dall’università.
Questa grande donna è stata per generazioni, nel secolo scorso e in quello attuale, la massima grande dame e il cervello di punta del pensiero critico e della sfida lucida e senza paura o freni a ogni totalitarismo e ad ogni autocrate. A novant’anni era ancora sana e lucida, vivacissima e sempre pronta a nuovi eventi pubblici anche all’estero.
E vorrei ricordare queste sue parole, che più di ogni altra cosa possono raccontarci di Ágnes, come donna, con la sua grinta e spinta generosa a cambiare il mondo, con l’audacia di sfidare tutto e tutti ma prima ancora se stessa. Libera in un mondo imprigionato.
“Io ormai non ho più paura per me, se non sono riusciti ad eliminarmi nella fabbrica della morte nazista né a farmi tacere sotto l’impero sovietico, non ci riusciranno neanche i sovranisti. Ma ho paura per il mondo, per gli adulti e i giovani di oggi e di domani. Ho paura per le nuove generazioni, perché i sovranisti, come Orbán da noi, Kaczynski in Polonia, o i loro alleati in Italia e Francia, sono adesso alleati insieme per conquistare l’Europa ed estirparne i valori democratici e l’abitudine a decenni di pace. Ma il loro successo si basa su nazionalismi feroci e aggressivi, che domani potrebbero facilmente divenire contrapposti. E allora un rischio di guerre in Europa, per la prima volta dalla fine delle guerre balcaniche iniziate da Milosevic, potrebbe divenire concreto, reale, minaccioso”.
Può sembrare strana la dinamica della sua morte, un bagno nel lago ma anche in questo possiamo ritrovare un legame con il suo modo di vivere, perché Ágnes Heller, era una donna sempre pronta a tuffarsi a largo e nella vita. E di lei tutti possono ricordare l’invincibile curiosità che è la molla di tutto, il dinamismo inarrestabile, lo sconfinato amore per la vita e per ogni sua manifestazione.
Nell’ultimo libro pubblicato prima del suo addio, Ágnes racconta un episodio: “Le truppe tedesche occuparono l’Ungheria il 19 marzo 1944. Ricordo benissimo quel giorno. Era domenica. La mattina scoprimmo dell’invasione e io per quel pomeriggio avevo un biglietto per L’uccello di fuoco di Stravinskij. Dissi ai miei genitori: “Vado al concerto”. Mia madre si infuriò, disse che ero pazza a voler andare mentre i soldati erano già alle porte della città. Io replicai: “Forse sarà l’ultimo concerto che ascolterò in vita mia”. Mio padre rispose: “Vai, allora”. Pensava che avrei dovuto approfittare più che potevo delle occasioni finché ero viva”.
Questa inviolabile volontà di vita avrebbe guidato la sua intera esistenza e ancora a 90 anni era una donna che cercava di assaporare ogni occasione, ogni incontro, ogni forma di energia e stupore perché “semplicemente” sapeva rilanciare il futuro ed era colma di avvenire.

di Stefania Lastoria

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