Un saluto al Giullare

Carlo Faloci

“Sono anziano, non vecchio. I vecchi sono di destra. Ed io, di destra, mai! (Dario Fo)”

Anch’io voglio dire qualcosa di Dario Fo. Perché tra anziani si creano “corrispondenze d’amorosi sensi”, ricordi lontani nel tempo, ma vividi nella memoria.
Ricordi di momenti che mi ha fatto vivere, facendomi pensare.
Come diceva lui .. “Ho sempre cercato di mettere dentro i miei testi quella crepa capace di mettere in crisi le certezze” ..
Come c’era scritto nella motivazione del Nobel: ..”Perché seguendo la tradizione dei giullari medievali dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi” ..
Ecco, di Dario Fo (e di Franca Rame, non è possibile non parlarne insieme), ricordo i tanti momenti di una vita di impegno, nel teatro e nella società.
Momenti difficili, ma veri, come quando per un breve istante passarono al grande pubblico della televisione, con ”Canzonissima”.
Momenti nei quali, dopo la cacciata “politica”, ebbero il coraggio di riprendere nei teatri di periferia, nelle case del popolo, il cammino difficile di vivere tra la gente, con la gente. E sempre proponendo testi che parlavano dell’arroganza del potere, dell’esistenza difficile degli umili, delle speranze di una società diversa, più giusta, con più amore.
Già, anche “Canzonissima” fu una scelta politica. Era il 1962, un anno in cui vissero insieme fermenti di apertura al mondo dei più deboli con il Concilio Vaticano Secondo e tensioni di un miracolo economico che portava ricchezze e dinamiche sociali con benessere di pochi e sfruttamento di tanti.
Ricordo lo sconvolgimento della trasmissione, la più seguita a quei tempi.
Sconvolgimento perché al posto del solito varietà leggero c’erano canzoni ed episodi che davano voce agli orfani, alle vedove. In cui si parlava di muratori vittime di cadute dalle impalcature,delle malattie di una Franca Rame incredibile casellante con famiglia a carico.
Debbo dire ricordo perché di quelle trasmissioni non è rimasta traccia. Le registrazioni in Rai vennero cancellate (come molti anni dopo i nastri delle telefonate tra Mancino e Napolitano). Gli italiani non dovevano sentire in televisione le parole morti bianche, sindacato, sciopero, mafia. Si cancellavano le verità scomode, cominciava il mondo della pubblicità, del consumismo.

Non si accettò sconfitta, da quell’ostracismo. Anzi, da Franca e da lui venne trasformata in consapevolezza verso un impegno totale, nel teatro e nella vita.

Nel teatro, ci fu il lavoro di Dario sui testi, sulle forme di recitazione, sul coniugare insieme cultura medievale e vita presente.
Non serve parlarne. Di esso fa testo il premio Nobel del 1997 (ma Dario era stato già candidato molti anni prima, nel 1975).
Ma del legame tra teatro ed impegno politico militante, del “tutt’uno” che ne venne realizzato, ho un ricordo incancellabile.
Agosto dell’anno 1968. Estate infuocata, periferia bresciana. C’è una fabbrica, la ATM, occupata dagli operai, metalmeccanici. Per solidarietà, Dario Fo e Franca Rame allestiscono un palcoscenico all’interno della fabbrica e viene improvvisata una rappresentazione, forse il canovaccio di quello che sarà poi il testo di “L’operaio sa 300 parole, il padrone 1.000, per questo lui è il padrone …”
E il seguito, viene fondata la “Associazione Nuova Scena”, un collettivo teatrale indipendente con quaranta giovani, tecnici, attrici, attori e con strutture mobili (palcoscenico,palchi, impianti fonici e luce).
Così si può rinunciare ai teatri normali (troppo spesso negati) e andare tra la gente, nelle Case del Popolo, nei bocciodromi, nelle piazze.
E’ la scelta di un teatro militante, che vive tra i più poveri, che tratta dei loro problemi. Un teatro che si fa politica, che è politica, che è politica, politica vera, legata alle realtà di lotta nelle fabbriche, nei cantieri.

E c’è la solidarietà che lega teatro, vita dei più deboli, difficoltà dei militanti. Una solidarietà che è stata una costante, per tutta la vita.
Una solidarietà che nel 1997 ha portato a costituire il Comitato “Il Nobel per i disabili”, con l’impegno dell’intero ammontare dei proventi del premio
Una solidarietà che portò nel 1975 ad istituire il “Collettivo teatrale La Comune”, che al termine degli spettacoli raccoglieva fondi per i licenziati, per gli operai delle fabbriche occupate …
Ma c’era la consapevolezza di altre sofferenze, con persone, compagne e compagni incarcerati in lotte antifasciste ed antimperialiste, a livello nazionale ed internazionale.
E venne ripresa l’idea del Soccorso Rosso Internazionale, utilizzato per i partigiani italiani nel periodo della Resistenza, e per quelli francesi, nello stesso periodo, durante la guerra di Liberazione. L’attività riguardava aiuti (supporto legale, soldi, lettere, pacchi) ai detenuti politici e alle loro famiglie, nonché la denuncia di disumane condizioni dei carceri e di torture e maltrattamenti degli arrestati.
Nei primi anni settanta l’attività venne formalizzata in una struttura organizzativa, il “Soccorso Rosso Militante”, per il sostegno economico e legale dei carcerati “politici”, e successivamente, anche di quelli comuni.
Erano gli “anni di piombo”, e l’attività svolta (ovviamente sgradita a livello governativo ed anche sottoposta ad indagini con l’accusa di associazione sovversiva e di sostegno al terrorismo) si estese anche ad iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica, con volantini, mostre fotografiche, assemblee e manifestazioni politiche, poi continuate dai radicali di Pannella.
L’appartenenza all’organizzazione, per Dario, ebbe conseguenze spiacevoli. Per due volte, nel 1980 e tre anni dopo, gli fu rifiutato il visto d’ingresso negli Stati Uniti d’America. E per molti anni per lui e per Franca fu interdetto l’accesso alla tv. Poi, con il Nobel, qualcosa cambiò.

Per gli altri, non per lui. Che ha continuato, in teatro e nella vita, ad essere “l’uomo che dileggia il potere per restituire dignità agli oppressi”..
Fino all’ultimo. Quando ci ha invitati a non accettare il presente, a guardare avanti: ..”Siamo costretti, dato che c’è la crisi, a immaginare un pensiero nuovo, sia di politica sia di economia: un pensiero!

di Carlo Faloci

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