Trentadue anni fa la morte di Giancarlo Siani

Giancarlo Siani è un pò il simbolo di tutti i giornalisti, di tutte le epoche, che rischiano la vita per i loro articoli; che ricevono minacce di morte perchè affondano le mani nel torbido dove mafia, politica e affari s’incontrano; che vivono sotto scorta perchè la loro penna dà fastidio a qualcuno. Non fu il primo, certo, ma è quello che più di altri è entrato nell’immaginario collettivo come il cronista d’inchiesta inviato in zone a rischio che cerca la verità dove ad altri tremerebbero le gambe solo al pensiero di entrarci. E sì che Torre Annunziata nel 1985 era un territorio a rischio.

Probabilmente fare il corrispondente in una qualsiasi zona di guerra sarebbe stato meno rischioso. Che poi non è questione solo di fare il corrispondente ma di interpretare la propria professione come una missione. Siani, a rigor di termini, non era ancora un giornalista tout court ma stava per essere assunto in via definitiva a Il Mattino, il quotidiano per la cui sede di Castellammare di Stabia scriveva i suoi servizi come distaccato presso Torre Annunziata. Nonostante questo era un giornalista “dentro”, lo era per vocazione. Perchè credeva che fare il giornalista significasse raccontare le ingiustizie, le disuguaglianze che generano povertà ed esclusione sociale, cose che a Napoli e dintorni possono facilmente essere propedeutiche all’entrata nei ranghi della camorra. Era un cronista vecchia maniera, di quelli che vanno sul luogo a tastare con mano la realtà, a vedere i fatti con i propri occhi e descriverli fedelmente, non senza filtrarli attraverso le lenti della propria sensibilità.

Sembrerebbe logico ma il più delle volte non accade. Oggi, in tempi di fake news, sarebbe stato uno degli ultimi baluardi del vero giornalismo e la sua firma una delle più prestigiose che un quotidiano potesse vantare tra le fue file. Non gli hanno dato il tempo, ma in ogni caso nessuno lo dimenticherà mai.

di Valerio Di Marco

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