L’onda lunga dell’austerità, dietro il risultato del voto tedesco

Si racconta che un giorno Keynes, padre della macroeconomia, in piena crisi economica, guardando dei manovali in attesa di lavoro fuori da un deposito di materiali edili, lungo una strada sterrata, abbia detto che la soluzione al problema economico del paese era lampante ed evidente: c’era bisogno di costruire la strada, c’era bisogno di usare i materiali del deposito e c’era bisogno di dare lavoro a quelle persone. Occorreva solo dare l’avvio ai lavori, occorreva solo che lo Stato desse un impulso all’economia. Probabilmente questo aneddoto, vero o meno che sia, può rapprentare la sintesi del New Deal, ovvero la politica economica statale interventista, che risollevò l’economia americana dalla grande depressione, la terribile crisi economica susseguente al primo dopoguerra.
L’Unione Europea, seguendo l’ideologia ultraliberista dei falchi del nord, alla grande e lunga crisi che l’ha colpita nell’ultimo decennio, ha invece risposto con la ricetta economica opposta, quella dell’austerità a tutto campo, degli Stati parsimoniosi che non spendono nemmeno se hanno i soldi in cassa. Paradossalmente la Germania, che è il paese che dalla crisi è uscito più arricchito, che porta indicatori economici di stato desiderabilissimi da qualsiasi ministro finanziario del pianeta, su questa parsimonia, rischia di collassare: l’austerità ha portato scelte politiche e riforme che hanno avvantaggiato gli industriali, precarizzando il lavoro in modo mai visto: a fronte di una disoccupazione quasi inesistente, si è registrata un ridimensionamento delle condizioni di vita degli strati più bassi della società. Questa che è una vera e propria involuzione della società tedesca (quindi anche di quella europea), è sintetizzata dal Working Poor, ovvero la condizione per cui, anche chi abbia un lavoro viva al di sotto della soglia di povertà. Il lavoro dequalificato, quello più diffuso, è sottopagato; le assunzioni con contratti part-time, a tempo determinato, o “a intermittenza”, si vanno diffondendo sempre più e non garantiscono quel livello dignitoso di esistenza, fulcro dello spirito della società del vecchio continente.
Non c’è da sorprendersi, quindi, se proprio tra i più poveri (una volta i più solidali, verso chi aveva di meno) si vada diffondendo la xenofobia e l’avversione verso il flusso dei migranti, possibili concorrenti nella disputa del “tozzo di pane”, cui oggi devono contentarsi: la geografia del voto tedesco, lo ha mostrato chiaramente, premiando gli estremisti dell’AFD (e bocciando la politica dell’accoglienza di Angel Merkel) soprattutto nei Länder più poveri, quelli dell’ex-Germania Est. Là dove lo Stato ha abiurato il sostegno delle famiglie a basso reddito, dove ha ridotto le certezze e le tutele dei lavoratori, dove ha lasciato che i redditi degli occupati divenisse insufficiente, ha vinto la propaganda dei populisti xenofobi ed ha perso soprattutto partito tradizionale dei lavoratori tedeschi, che nella Grosse Koalition non è riuscito a tutelarli.
Il rischio è che se il futuro governo tedesco non saprà accantonare la follia dell’austerità-come-dogma, se in Francia passerà la Loi Travail (il loro Jobs Act) e se le elezioni italiane non daranno vita ad un governo serio, stabile e non-di-coalizione, il cancro del nazionalismo populista distruggerà l’Europa dal di dentro e, con essa, la speranza di altri sessant’anni di pace. In Germania, forse i politici l’hanno capita ed ogni partito potrebbe riprendere il proprio ruolo; in Francia, serve solo che trovino una scappatoia per salvare la faccia all’amministrazione Macron, affossando quella riforma e in Italia…forse ci salverà il Movimento 5 Stelle: incanalando emotivamente i malumori dei nostri working poors, con tesi fantasiose e non credibili (…), potrebbe spingere un elettorato attonito dalla loro manifesta incapacità e dalla loro progressiva incoerenza, a tornare ad un voto più ragionato (di destra, di centro o di sinistra). Ma a ciò, manca solo un elemento fondamentale: almeno un partito con un leader ed un programma, entrambi seri e credibili…

di Mario Guido Faloci

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