Il prezzo della verità: la giornalista Marilù Mastrogiovanni sotto scorta

Parlare di mafia nel Paese delle mafie dovrebbe essere considerato un atto logico e coerente. E invece no. Da sempre, nel nostro Paese, è sinonimo di azione audace e temeraria, e mette a rischio la vita di chi ne parla.
Marilù Mastrogiovanni è una giornalista pugliese che ha fondato nel 2003 il mensile d’inchiesta “Il tacco d’Italia”, e da pochi giorni è sotto scorta per decisione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza di Bari.
Come si è giunti a questa decisione?
Marilù è una specialista dell’organizzazione mafiosa “Sacra Corona Unita”, generalmente definita “la quarta Mafia”, dopo Cosa Nostra in Sicilia, la ‘Ndrangheta in Calabria e la Camorra a Napoli. Si tratta un’organizzazione potente e pericolosa al pari delle altre tre, e da anni la giornalista indaga e denuncia le reti tentacolari d’infiltrazioni mafiose nel tessuto sociale della sua regione, dal business dello smaltimento dei rifiuti, che permette alla rete malavitosa di prosperare grazie al sostegno di esponenti politici locali, al business edile e turistico in Salento, gestito e controllato dal crimine organizzato.
Le inchieste della giornalista sono state numerose e le hanno procurato molti nemici, a tal punto da costringerla ad abbandonare la sua casa in Salento e trasferirsi a Bari, dove le era già stata assegnata qualche tempo fa la “vigilanza dinamica”, misura di protezione che tuttavia è stata ritenuta insufficiente alla luce delle minacce e degli atti intimidatori di cui la donna è stata vittima, e sulle quali la procura ha aperto un fascicolo: sacchi della spazzatura gettati nel suo cortile di casa, migliaia di mail (3.950) arrivate in una sola notte all’indirizzo elettronico del Tacco d’Italia recanti minacce di morte esplicite per lei e la sua famiglia.
Questo è il prezzo della verità per chi decide d’indagare sul potere occulto della politica e dello Stato.
Marilù Mastrogiovanni è un esempio di donna che non si è piegata in questi anni alle provocazioni della malavita e tiene fede ogni giorno agli adempimenti del mestiere di giornalista d’inchiesta con i suoi approfondimenti, le sue analisi, il suo coraggio e il suo spirito di servizio.
Meritatamente in questi anni si è guadagnata dei riconoscimenti: è stata l’unica giornalista italiana a prendere parte alla conferenza mondiale dell’Osce sulla libertà di stampa, in merito al fenomeno delle minacce on line subite dalle giornaliste; è stata designata dalla direttrice generale dell’Unesco Audrey Azoulay quale componente della giuria del premio mondiale sulla libertà di Stampa “Guillermo Cano”, e nel 2017 le è stato consegnato in Senato il Premio Giustolisi per una delle sue inchieste sul territorio salentino.
Cosi ha detto in un’intervista qualche tempo fa:
“Il mio impegno internazionale, a difesa della libertà di stampa e in particolare delle donne giornaliste e del diritto d’espressione delle donne, non mi allontanerà dal mio lavoro d’inchiesta investigativa sulle mafie pugliesi e del Salento in particolare. Sulla parola mafia in Puglia c’è un generale imbarazzo e una voglia di rimozione che ricorda la Sicilia di 100 anni fa. Mentre verso Cosa nostra, i Siciliani, dopo il tributo di sangue di tante vittime innocenti, hanno maturato una capacità di reazione fatta di impegno civico, in Puglia e nel Salento in particolare si fa fatica a distinguere tra cultura mafiosa e convivenza civile, perché la convivenza civile si basa, spessissimo, sulla condivisione della cultura mafiosa. Non si capisce che quel confine labile tra cultura mafiosa e mafia porta alla sovrapposizione totale dei fenomeni e alla trasformazione della società in società mafiosa. Si teme che parlare di mafia significhi allontanare i turisti, compromettere l’economia e non si capisce che non è economia quella generata dall’immissione di capitoli mafiosi, ma un veleno che fa marcire alla base la Democrazia e compromette ogni possibilità di riscatto (…)”.

di Vittoria Failla