Quella sporca dozzina d’anni sottoterra
Dal nostro inviato al festival Riccardo Tavani
Dopo la quinta giornata dedicata alle repliche, parliamo della sesta, penultima giornata del Festival del Cine Español. Il film di punta è La noche de 12 años, di Álvaro Brechner. I dodici anni del titolo si riferiscono al periodo di carcerazione sottoterra, in luride celle-tugurio, dei leader guerriglieri uruguaiani appartenenti Movimiento de Liberaciòn Nacional e conosciuti al mondo come Tupamaros. Un nome, quest’ultimo che loro stessi si danno, ispirandosi a Túpac Amaru II, al secolo José Gabriel Condorcanqui, che a metà del 1700 guidò la rivolta contro gli spagnoli in Perù. Nato nel 1965, questo movimento raggiunse il culmine della sua attività di rapine per autofinanziamento e rapimenti politici tra il 1970 e il 1972. Uno dei rapimenti cruciali fu quello nel 1970 dell’agente dell’Fbi Don Mitrione, spedito dagli Usa in Uruguay come consigliere militare, esperto di tecniche antiguerriglia e tortura. Catturato ai fini di uno scambio di prigionieri, Mitrione fu poi ucciso, perché il governo non accettò lo scambio. Nel luglio del 1973 i militari assunsero di fatto l’intero comando governativo del paese e attuarono un massiccio e capillare giro di vite repressivo.
La scena iniziale è quella del prelevamento dalle loro celle in carcere di tre leader tupamaros. Sono Eleuterio Fernández Huidobro, detto El Ñato, José Mujica, detto Pepe, e Mauricio Rosencof, poeta, scrittore, dal cui libro Memorias del calabozo, 1989, è tratto questo film. Questitre, insieme a diversi altri capi guerriglieri, sono dichiarati dai militari rehenes, ossia ostaggi. Qualsiasi azione intrapresa dai loro compagni ancora in libertà si ritorcerà nell’uccisione di tali prigionieri speciali. Per questo vengono tolti dai normali carceri e letteralmente inabissati in pozzi, cubicoli, segrete infernali, in condizioni igieniche raccapriccianti, completamente isolati tra di loro e da qualsiasi contatto con il mondo esterno. Più volte brutalmente pestati, il principale scopo, esplicitamente dichiarato, è però quello di farli impazzire.
Il racconto è una vera discesa dantesca nei gironi dell’orrore repressivo, realizzato senza una vera continuità narrativa attraverso immagini temporalmente frammentante, con lancinanti, improvvisi sprazzi di ricordi degli episodi – anch’essi spietati – che portarono alla loro cattura, all’uccisione a freddo di loro familiari, letteralmente crivellati di pallottole. Mai un momento, un gesto di pietà seppure minimo da parte dei carcerieri, a parte quello determinato da Mauricio Rosencof, che aiutò alcuni di loro a scrivere lettere alle loro fidanzate. Anche le denunce internazionali e le successive visite imposte della Croce Rossa portarono solo a un allentamento tanto momentaneoquanto di mera facciata del sistema di tortura e induzione alla pazzia. In effetti chi entrò in uno stato di psicosi acuta fu proprio Pepe Mujica, il quale, però, si salvò sia grazie a una visita che riuscì a ottenere sua madre, sia a quella di una psichiatra che gli insegnò come resistere.
Nel novembre 1980, la dittatura civico-militare uruguayana, sicura ormai di sé, sottopose a referendum popolare una riforma della costituzione che doveva ancora di più consolidarla al potere. Contro ogni sua previsione, invece, oltre il 57% dei cittadini respinse il progetto, imprimendo alla situazione politica una forte spinta per il ritorno alla tradizione della democrazia uruguaiana che era e ancora oggi tra le più avanzate al mondo. Tanto che proprio due di quei leader guerriglieri sono saliti poi alle più alte cariche politiche. Eleuterio Fernández Huidobro, eletto senatore e poi nominato Ministro della Difesa nel 2011, carica che ha mantenuto fino alla sua morte nel 2016. E soprattutto José Pepe Mujica, via via deputato, senatore, ministro e poi nel 2010 Presidente della Repubblica, carica che ha mantenuto fino a scadenza istituzionale del mandato nel 2015.
Oggi, settima e ultima giornata del Festival al Cinema Farnese, a Campo de’ Fiori, con altre repliche e il gran finale stasera di Goodbye Gringo, di Pere Marzo, seguito dall’incontro con autori e protagonisti del film condotto da Marco Giusti.