Radio Radicale, pochi giorni per sopravvivere

Al momento di andare in pagina non sappiamo se Radio Radicale ce la farà a sopravvivere. Il 21 maggio 2019 è l’ultimo giorno di validità della convenzione tra la storica radio e il Parlamento per la trasmissione in diretta e in differita di tutte le sedute parlamentari. Vito Crimi, senatore 5 Stelle, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, con delega all’editoria ha dichiarato che l’attuale governo non ha alcuna intenzione di rinnovare la convenzione. Radio Radicale aveva vinto una gara pubblica nel 1994 per assicurare la messa in onda totale dell’attività parlamentare. Il compenso ammonta a 10 milioni € l’anno.  Altri 4 milioni € l’emittente li riceve dalla legge sull’editoria, sulla scorta del fatto che pur essendo un’impresa radiofonica privata, di partito, svolge un servizio pubblico che investe ogni ambito dell’attualità politica, istituzionale, culturale, nazionale e internazionale. Quest’ultima sovvenzione scade nel 2022. E una gara – chiedono i radicali – si indica anche oggi, mantenendo il servizio che la radio svolge fino alla sua aggiudicazione.

Massimo Bordin, la voce più nota e più amata della radio, ha sarcasticamente definito Crimi gerarca minore. Lo ha fatto poco tempo prima di morire il mese scorso. Tre anni prima era morto Marco Pannella, leader indiscusso del Partito Radicale, editore e ideatore della formula politico-giornalistica che dal 1975 a oggi sorregge la linea editoriale dell’emittente. Fin dai suoi primi giorni di trasmissione c’è stata la massima apertura a ogni voce politica e la registrazione dell’attività parlamentare a proprie spese. Pannella, infatti, era convinto che la gente dovesse ascoltare quello che si diceva e avveniva là dentro. Non solo quello che si limitavano a riferire, spesso a deformare sinteticamente giornali e tv. Dal parlamento si è passati poi ai congressi di partito, dei sindacati, e ai Tribunali, per seguire i maggiori processi politici, di mafia, e anche di cronaca nera ma sempre con uno sfondo sociale. Il tutto è stato sempre accompagnato da interviste, approfondimenti, collegamenti con le istituzioni, le piazze, i marciapiedi, in ogni parte del mondo. La rassegna stampa delle sette e mezza del mattino è stata l’altra idea vincente di Pannella. L’ha chiamata Stampa e Regime, e Massimo Bordin è stato per più di trent’anni la voce che ogni mattina svegliava la politica italiana con una lettura che era una visione d’insieme dei fatti e delle opinioni, scandita in maniera ragionata, pacata ma con improvvise e altrettanto tranquille rasoiate ironiche. Con il tempo non era ormai più soltanto un giornalista ma un artista, un cantore, un Fabrizio De André, poetico e sarcastico, delle pagine stampate che gli frusciavano tra le dita.

Connessa da una rete di trasmettitori e frequenze in ogni zona d’Italia, Radio Radicale è stata davvero il labbro e l’orecchio di tutto mondo politico italiano. Non solo degli esponenti d’apparato più in vista e giù fino al più oscuro consigliere comunale, ma anche di ogni cittadino ignoto che avesse interesse, passione politica. Lo si è visto nel luglio del 1986. La radio non ce la faceva più a sostenere le crescenti spese di gestione, così decise di chiudere. Lasciò i telefoni e i microfoni aperti a chiunque avesse qualcosa da dire. Ne venne fuori quella valanga radiofonica che prese il nome di Radio Parolaccia. Migliaia e migliaia di telefonate una dietro l’altra, giorno e notte, per un mese di seguito, fino a Ferragosto. Poi intervenne la magistratura che sequestrò le segreterie telefoniche, per i reati di vilipendio delle istituzioni e apologia di fascismo commessi nel corso di tutte quelle ore. Un fenomeno che ha anticipato quello largamente poi esploso sugli attuali social media. Fu, però, grazie a questa strenua iniziativa che il Parlamento cominciò a varare norme che assimilavano agli organi stampa di partito le radio e altri strumenti che svolgevano una funzione pubblica.

Radio Radicale ha oggi una media di duecentocinquantamila ascoltatori al giorno. Come si fa – si può obiettare – a dire che essa rappresenti la politica nazionale con un share così esiguo di fronte ai milioni di spettatori delle grandi corazzate televisive? Perché continuare a finanziare una voce tanto poco ascoltata dalla vera massa politica nazionale? Dobbiamo distinguere due piani. Il primo è quello del servizio pubblico che uno Stato deve garantire. I tribunali, i processi devono essere obbligatoriamente pubblici, ossia aperti a tutti, anche se poi ci vanno magari solo poche o niente persone. E Radio Radicale ha trovato il modo di portarceli a domicilio i processi più cruciali. Così il Parlamento deve essere aperto all’informazione, all’ascolto pubblico, potenzialmente e fattivamente reso disponibile a tutti.

Il secondo aspetto è che politici, giornalisti, giuristi, economisti, filosofi, uomini di cultura, artisti, cittadini autenticamente interessati a conoscere per deliberare, ascoltano quelle sedute, quelle udienze, quei congressi, quei dibattiti, quelle rassegne, e si formano un’opinione anche sulla scorta di questa informazione dettagliata. Sono gli stessi soggetti che poi ci ritroviamo la sera in tv, o sui giornali, sui social, nelle altre radio, e che rispondono magari ad ascoltatori che hanno seguito anch’essi quei documenti sonori (ma oggi anche web video) trasmessi da Radio Radicale. Documenti conservati e catalogati che ammontano ormai a un archivio storico di circa mezzo milione di registrazioni. Si può continuare a obbiettare che si tratta di forme di politica, di informazione vecchie, obsolete, non più al passo con il presente tecnologico che spinge verso nuove possibilità. Certo, e di questo bisogna sicuramente tenere conto, immaginando, anticipando il futuro. Resta però il fatto che se si toglie ora di mezzo Radio Radicale, insieme a giornali come Avvenire e Il Manifesto cosa rimane? Solo i piazzisti dei talk-bla-bla-show, i vandali delle fake-social guerre, i neo-feudatari degli algoritmi al buio.

di Riccardo Tavani