Assassinata in Messico la giornalista Norma Sarabia

Sono sempre notizie difficili da dare, informare l’opinione pubblica che ci sono giornalisti che muoiono per il solo fatto di compiere il proprio dovere, di denunciare la realtà dei fatti ed il crimine organizzato. E invece eccoci qui, ancora una volta qui, a denunciare l’ennesimo atto di viltà, a comunicare all’opinione pubblica che lo scorso undici giugno è caduta sotto i proiettili assassini della criminalità, una giornalista del quotidiano “Tabasco Hoy” dello stato di Tabasco, in Messico.
Luogo in cui esercitare questa professione significa costantemente vivere nel rischio, diventare bersaglio facile del crimine organizzato o di funzionari corrotti che non vedono di buon occhio chi divulga i loro malaffari, chi scoperchia attività illecite, chi osa dire, parlare, svelare, indagare, esplorare. E allora con una superficialità aberrante se ne liberano a colpi di pistola.
La vittima è una donna che si occupava di cronaca nera da oltre venti anni. Il suo nome è (e voglio usare il presente appositamente) Norma Sarabia.
La dinamica per quei luoghi è sempre la stessa, raccontata e letta qui, è vero, non ci fa accapponare la pelle più di tanto ma per certi versi ci riporta ai film di un tempo, in cui la polvere da sparo si confondeva con quella del cuore. Quelle scene in cui la musica già lasciava presagire un agguato, lento in alcune occasioni, pirotecnico altre volte… quando si voleva che la gente sapesse e vedesse, perché fosse un monito per tutti quello di tacere. Omertà era, e a volte ancora è, la parola che collima con vita.
Ebbene, questa volta due aggressori, protetti dall’oscurità della notte nel comune di Huimanguillo, in sella ad una moto si sono presentati presso l’abitazione della giornalista. Hanno suonato alla porta e le hanno sparato a bruciapelo colpendola a morte. Lavoro eseguito alla perfezione. Poi si sono dati alla fuga. Non è solo un episodio di violenza. E’ l’ennesimo omicidio ai danni di giornalisti in terra messicana. Il nono caso per l’esattezza.
Fare questo lavoro in certi paesi vuol dire essere carne da macello in una società seriamente compromessa sul piano dell’integrità e consistenza morale, una società inquinata dalla criminalità che semina sangue nelle strade della città.
Certo non mancano le forme di protesta, immediate sono state le espressioni di condanna, la rivendicazione di un’autentica giustizia di fronte a questo nuovo duro colpo contro la libertà di espressione e di pensiero.
Il direttore del quotidiano “Tabasco Hoy” negli ultimi mesi aveva reso noto alle agenzie di stampa internazionali che Norma Sarabia temeva ormai da tempo per la sua incolumità, riceveva minacce continue al punto che non firmava più i suoi articoli ma consegnava solo informazioni.
A fronte dei rischi a cui sono soggetti i giornalisti messicani fa riscontro un’evidente coltre di impunità e collusione con chi dovrebbe proteggere l’intera comunità.
Tuttavia, dalle file governative e dall’autorità giudiziaria locale, le promesse di indagine e di impegno si ripetono almeno a livello mediatico. Il classico tentativo di dare in pasto ai cittadini una parvenza di “legalità” per lavare coscienze marce.
Maschere da indossare come nei migliori palcoscenici di vita.
Questo nuovo fatto di violenza contro operatori della stampa ci fa pensare che l’amministrazione di Andrés Manuel López Obrador è sempre più distante dal compito assunto di fermare questi attentati mortali che dall’inizio dell’anno 2000 raggiungono l’enorme cifra di 126 omicidi: 117 giornalisti uomini uccisi e nove donne. Fatti criminali avvenuti in circostanze diverse e in diversi punti del paese.
Il Messico è in fondo un luogo in cui pullula l’attiva illecita del narcotraffico e del carburante.
In tutto questo grida forte l’impotenza di perdere giornalisti per mano di sicari assoldati da funzionari pubblici o da elementi corrotti del sistema politico.
Occorre condannare e ripudiare questi fatti, non solo perché strappano delle vite ma minano soprattutto la libertà di stampa e la democrazia.
Sono crimini che portano alla luce un’impunità dietro la quale opera, protetta, la rete di corruzione sfacciatamente radicata dentro il sistema politico, nel governo nonché nel sistema giudiziario e di polizia.
Cambiano solo i nomi e i luoghi in America Latina ma c’è un unico comune denominatore: il potere che manipola molte personalità per mezzo di denaro sporco. E’ questo ciò che alimenta il loro “non essere”: l’avidità di denaro, potere, supremazia, ambizione a giocare nelle alte sfere, per riempire un vuoto nel quale non potrebbe echeggiare neanche l’eco di un tardivo pentimento.

di Stefania Lastoria

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