Antonino Scopelliti, un giudice che faceva il giudice

Sono molti i giudici, un po’ meno quelli che fanno i giudici. Antonino Scopelliti era un giudice che faceva il giudice, semplicemente il suo lavoro, con onestà e passione. Con serietà e senso della giustizia a servizio dello Stato. Il giudice Scopelliti è stato ucciso, assassinato dalla mafia, in accordo con la n’drangheta, il 9 agosto del 1991, alle 17.20 sulla strada tra Campo Calabro e Villa S. Giovanni. Era solo. Lo hanno ucciso in solitudine dentro la sua macchina, mentre tornava verso casa. I suoi killer, almeno due, gli sparano a bruciapelo, da una distanza ravvicinata, avvicinando la sua macchina a bordo di una moto. Sparano con fucili calibro 12 caricati a pallettoni. Due colpi lo raggiungono alla testa senza dare scampo al giudice. L’auto senza controllo finisce in un vigneto, dopo aver sfondato un cancello. Una telefonata anonima chiama la polizia, che quando arriva pensa ad un normale incidente fino a quando vedono i fori delle pallottole. Sono passati ventotto anni da quel caldo giorno di agosto, ma gli interrogativi restano, i misteri ancora non si chiariscono, la verità è lontana. Il giudice Antonino Scopelliti era entrato in magistratura molto giovane, a ventiquattro anni. Si è occupato di mafia e terrorismo, ha rappresentato l’accusa nel primo processo Moro, nel sequestro dell’Achille Lauro, nella strage di piazza Fontana e nella strage del rapido 904.

Nel giugno del 1991, due mesi prima del suo assassinio, gli assegnarono il compito di rappresentare l’accusa al maxi processo, quello di Falcone, giunto in Cassazione. In quella estate calda, aveva iniziato a studiare le carte processuali del procedimento, che furono trovate nella casa del padre dove soggiornava nei periodi di vacanza. Il giudice Scopelliti era consapevole della gravosità del compito, sentiva tutta la pressione di un incarico così delicato e pericoloso, ma era un giudice che faceva il giudice e non pensava minimamente di tirarsi indietro. Era onesto, era incorruttibile, era indipendente, era un giudice-giudice, questa sua caratteristica impensieriva tutti gli accusati del maxi processo. Il giudice Giovanni Falcone, in una intervista a La Stampa, spiegando perché a suo parere il giudice calabrese era stato ucciso :” L’eliminazione di Scopelliti è avvenuta quando ormai la suprema Corte di Cassazione era stata investita dalla trattazione del maxiprocesso alla mafia palermitana e ciò non può essere senza significato…anche se, infatti, l’uccisione del magistrato non fosse stata direttamente collegata alla celebrazione del maxiprocesso davanti alla suprema Corte, non ne avrebbe comunque potuto prescindere nel senso che non poteva non essere evidente che l’uccisione avrebbe pesantemente influenzato il clima dello svolgimento in quella sede”.

Un nesso evidente, quello del maxiprocesso, tanto che finirono a processo i boss della cupola del calibro di Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Bernardo Brusca, Nitto Santapaola, i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Ma furono assolti in via definitiva dall’accusa di aver svolto un ruolo nell’assassinio del magistrato, tanto che ancora oggi il delitto è senza colpevoli. Molti collaboratori di giustizia, hanno raccontato delle offerte, fino a cinque miliardi, offerte dalla mafia per aggiustare il maxiprocesso. Offerte che Scopelliti, incorruttibile, avrebbe rifiutato e decretando la sua condanna a morte. La ricerca della verità è stata complicata, ma lo scorso marzo, la procura di Reggio Calabria, ha riaperto il fascicolo sull’omicidio. Nel fascicolo degli indagati ci sono molti boss calabresi. I collaboratori, dicono anche che l’omicidio Scopelliti è stato un favore che la n’drangheta ha voluto fare a Cosa Nostra per cementare una alleanza che di fatto poi c’è stata. Le indagini proseguono, molte verità vengono alla luce, molte dichiarazioni sono da verificare, ma emerge sempre di più che l’omicidio del giudice faceva parte di una strategia più ampia della mafia contro gli uomini dello Stato che non si piegavano ai suoi voleri. La figlia del giudice, Rosanna Scopelliti ha ribadito più volte :” Ucciso dopo aver rifiutato una cifra immensa. Ucciso per aver fatto il suo lavoro con la competenza che lo contraddistingueva. Ucciso lasciando a noi, a me bambina, un insegnamento difficile da comprendere pienamente: il rispetto per la propria dignità. Una dignità che non è in vendita…sulla morte di mio padre c’è una verità che deve ancora essere raccontata tutta e fino in fondo. Ma noi abbiamo pazienza. Non permetterò mai che si dica che le istituzioni hanno fallito o che i magistrati non fanno il loro lavoro. Io ho fiducia, in questo Stato, in questa magistratura. In queste istituzioni, perché me lo ha insegnato mio padre che non ha mai smesso di crederci. Lui da magistrato sapeva perfettamente che cos’è un’indagine e quanto impegno ci vuole per arrivare ad una verità importante”.

di Claudio Caldarelli

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