Cine-pillole sparse ancora in sala

Antropocene. Olocene, ossia l’era geologica appena trascorsa: dal greco antico Olos, tutto, e kainos, recente. Talmente recente che è iniziata appena 11.700 anni fa, e avrebbe continuato a scorrere tranquilla se non fosse stata brutalmente stroncata e sostituita dall’Antropocene, ossia l’era del domino dell’uomo, dell’antropos. Dominio che il film mostra attraverso grandiose immagini di sventramenti tanto delle viscere, quanto dei monti, delle pianure terrestri, cacciate di intere popolazioni dalle campagne, inquinamenti spaventosi, scioglimenti artici e allagamenti urbani, discariche di rifiuti in inarrestabile estensione non più urbana ma regionale. Perché tutto è grandioso, spettacolare nell’era del profitto economico capitalistico occidentale, dominante da tempo sull’intero pianeta e su ogni altra civiltà, ideologia o religione. Non solo la bellezza artistica, architettonica, ma spettacolare è anche il maestoso macchinismo industriale in permanente, vorace movimento ai fini dello stupro ambientale a cielo aperto e sotterraneo. Lo stupro delle speranze di ogni specie vivente e oggetto naturale esistente. Si sterminano infatti oltre 10.000 elefanti, mentre molte specie sono già estinte, altre lo sono di fatto. A proposito di arte e architettura, il film ci mostra anche lo stato delle mitiche cave di marmo di Carrara. Una montagna ridotta a un buco digradante con una serpentina di strada camionabile polverosa, che somiglia tanto alla struttura geografica dell’inferno dantesco. Un film da vedere insieme ai propri figli, per dire loro alla fine: “Non domani, ma già oggi è tua tutta questa Oltretomba”.

C’era una volta… a Hollywood. La storia di un piccolo attore (Leonardo Di Caprio) di “b movies” western anni ’60, e della sua controfigura, tuttofare, amico di una vita (Brad Pitt). Per Quentin Tarantino, però, le trame sono solo un pretesto per spingere sempre più avanti il suo discorso sul senso del cinema contemporaneo. Il regista americano inserisce anche in questo film un continuum di citazioni di altri film (suoi e di altri autori). Il giovane pop-filosofo Alessandro Alfieri definisce tale citazionismo tarantiniano simulacro, ossia feticcio, parvenza, traccia divina, originario-fantasmatica del cinema. Tarantino, però, non si accontenta di questo. Dal simulacro passa alla Storia, con la S maiuscola, quella umana reale e la modifica. Come se il cinema avesse il potere di farlo. La modifica attraverso scene parossistiche, di una violenza armata fantasmagorica senza limiti, impossibili se fossero reali. Così da denunciare apertamente la sua falsificazione. In questo film modifica un episodio cruciale, fatale della storia vera di Hollywood e lo fa sì con la solita eruzione vulcanica di pallottole, lanciafiamme, sventramenti, cani assassini e piscine di sangue, ma per qualcosa che questa volta ha che fare davvero con la Grazia. Il cinema non può davvero cambiare la Storia, ma può restituire la Grazia, e restituirla allo stesso cinema,  quale reale sogno collettivo. Qui l’autore, però, modifica anche il simulacro. Rigira scene di vecchi film che ora vedono Leonardo di Caprio come attore protagonista. Ad esempio una finale del suo Bastardi senza gloria, del 2009, dove era proprio Brad Pitt il vero attore protagonista. Una maestria davvero superiore nello staccare inquadrature, guidare carrelli, dolly, panoramiche, movimenti macchina da brivido di bravura. Un restituire letteralmente la parola alle  immagini in quanto tali.

La mafia non è più quella di una volta. Nel 2017 il regista Franco Maresco porta la sua cinepresa nei rioni popolari di Palermo per sapere cosa ne pensino le persone di Falcone e Borsellino nel venticinquennale delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. La realtà è agghiacciante. Anziché due eroi sono considerati spesso degli infami. Di loro, in ogni caso, non frega più niente a nessuno. Letizia Battaglia è una grande fotografa palermitana di fama internazionale. Ha raccontato la storia della mafia con foto che hanno fatto il giro del mondo. Maresco si rivolge a lei – che è sempre molto impegnata politicamente e socialmente – per ribaltare tale cinismo popolare, in nome delle tante lotte e ragioni ideali della sua vita attiva. Il terzo personaggio del film è Ciccio Mira, piccolo imprenditore palermitano di spettacoli di piazza, con un suo coté di cantanti, che fa esibire in una sua Tv cittadina, ora chiusa. Mira è già apparso in un altro film di Maresco, Belluscone – Una storia siciliana, del 2014. Reticente, se non addirittura omertoso con la mafia, Ciccio Mira ha indubbiamente il dono di possedere una faccia da cinema. Insieme a un impappinato eloquio spontaneo, comico soprattutto quando parla seriamente. I tre poli-personaggi tematici – il cinismo polare, l’idealismo di Letizia Battaglia, l’ambiguità di Ciccio Mira – non sono però netti, ma spesso sfumati, se non addirittura sfuggenti. Anche se meritevole è il proposito dell’autore di squarciare incrostazioni, paludamenti, ipocrisie consolatorie, non sempre il film si dimostra all’altezza delle intenzioni.

Martin Eden. Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Jack London (1909), vede spostata non l’epoca ma l’ambientazione in un porto italiano. Il protagonista (Luca Marinelli) è un giovane marinaio napoletano che s’innamora della bella borghese altolocata Elena Orsini (Jessica Cressy). Per tentare di essere all’altezza della sua personalità, del suo ambiente e della sua famiglia impegna tutto sé stesso nello studio, fino a diventare un romanziere di successo. Nonostante l’inserimento dinamicamente frammentato di materiali storici d’archivio e inquadrature volutamente sfocate, il film pecca fin dall’inizio di un certo manierismo rappresentativo dei personaggi e degli ambienti, pur se contenuta entro un’atmosfera di romantica rudezza. La cosa si accentua nella seconda parte quando attore e autore caricano la recitazione e la scena. Peccato perché il regista Pietro Marcello aveva mostrato nelle sue precedenti opere una sua particolarissima cifra stilistica. Coppa Volpi per il Migliore Interprete Maschile a Venezia 2019.

Il Re Leone. Ennesimo remake della storia del cucciolo di leone Simba, figlio del Re della Foresta Mufasa, cui è destinato a succedergli, se lo zio cattivo Scar, non uccidesse suo fratello il re e non costringesse l’erede alla una fuga in una zona remota. Le tecniche elettroniche del genere animazione raggiungono ormai una tale capacità di rappresentazione che rasenta il realismo fotografico, sia degli ambienti che degli animali nelle loro azioni. Si chiama CGI, Computer-Generated Imagery, ossia immagini generate dal computer. Difficile per un bambino piccolo decifrare se stia vedendo un cartoon, o un film vero. Altrettanto incerto è che tale vertiginosa tecno rappresentazione sia in grado di far esperire allo spettatore profonde emozioni e sentimenti autentici.

 

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