Piaghe. Virus, annessione, apartheid

Per motivi ancora non chiari alla scienza l’impatto del coronavirus su aree e Paesi è stato quantomeno imprevedibile. Prendiamo due stati confinanti come Iran e Iraq. Da una parte troviamo il centro dell’epidemia in Medio Oriente e dall’altra un paese che conta poche centinaia di morti.

Questa “oscura” modalità di diffusione ha, al momento, favorito Gaza e la Cisgiordania.  Due aree dove il sovraffollamento rende praticamente impraticabile il distanziamento sociale e dove il sistema sanitario, debolissimo, non sarebbe in grado di far fronte ad un’epidemia. 

Scartando per scaramanzia l’ipotesi che, semplicemente, il virus non sia ancora arrivato nei territori, è bello e possibile- per quanto ne sappiamo- pensare che siano stati i giovani a salvare il popolo palestinese. Una popolazione giovane, infatti, ha più possibilità di contrarre il virus in forme lievi, asintomatiche e meno contagiose e quindi di limitare l’esplosione del Covid-19.

Se i giovani hanno rallentato il coronavirus, quest’ultimo non ha sicuramente bloccato le mire israeliane sulla Cisgiordania.

Anzi, il nuovo governo di emergenza, che vede coalizzati gli ex arcinemici Benjamin Netanyahu e Benny Gantz, è di fatto il governo dell’annessione. Programmaticamente, sostiene il primo ministro, l’esecutivo sarà “l’occasione per promuovere la pace e la sicurezza basandoci sulle intese raggiunte col presidente Trump”. Tutta l’operazione, naturalmente, è stata benedetta dall’amministrazione Trump che, nonostante il contenimento, ha inviato nel paese mediorientale il Segretario di Stato Mike Pompeo.

I territori oggetto dell’annessione sono quelli conquistati nella guerra del 1967 e rivendicati dai palestinesi che considerano illegali gli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Una posizione condivisa da molti Paesi e sostenuta anche da diverse risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che valutano gli insediamenti contrari al diritto internazionale in contrasto con la Quarta Convenzione di Ginevra, quella che vieta alle potenze occupanti di trasferire la popolazione dalle aree conquistate.

Questa posizione, condivisa fino allo scorso anno anche dagli Usa, è stata abbandonata dall’amministrazione Trump che non considerare più gli insediamenti israeliani come una violazione del diritto. Conseguentemente, il piano di pace statunitense presentato a gennaio, riconosce la sovranità israeliana sui principali blocchi di insediamenti in Cisgiordania.

Si tratta di una scelta che, afferma Hanan Ashrawi, una politica della minoranza cristiana anglicana e alta funzionaria dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, è “estremamente pericolosa non solo per la Palestina, per Israele e per la regione, ma per il mondo”.  Molte sono le voci contrarie anche in Israele. Il grande scrittore Abraham B. Yehoshua, ad esempio, sostiene che “l’annessione è apartheid”.

Purtroppo, incoraggiati dal sostegno statunitense e dalle scelte politiche interne, i coloni ebrei, nel pieno della crisi da coronavirus, hanno moltiplicano gli attacchi contro i palestinesi.  Nonostante le restrizioni agli spostamenti imposti per contenere il COVID-19, sono aumentati gli atti di violenza. Alcuni coloni aggredito fisicamente i palestinesi, sono state prese di mira le case, incendiate automobili, vandalizzati e sradicati uliveti e altre colture ed è stato disperso il bestiame. Azioni che, secondo molti, godono della complicità delle autorità politiche e militari israeliane e sono parte dell’agenda politica che mira all’espropriazione.

Tempi oscuri attendono quell’area senza pace. Sia sul fronte dell’epidemia che su quello della convivenza.

di Enrico Ceci

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