Lesbo, l’inferno dei bambini

L’isola di Lesbo è il simbolo delle più terrificanti catastrofi umanitarie della nostra epoca. Un inferno di dolore e morte in cui a pagarne le conseguenze più pesanti sono i più piccoli.

Duemilacinquecento sono i bambini presenti nel campo sull’isola. La maggior parte ha meno di 12 anni, molti a Lesbo sono nati. Vivono nel fango, in condizioni sanitarie drammatiche, stanno crescendo imparando a sopravvivere nella paura, nella solitudine e nell’abbandono.

Già nel 2018 era stato lanciato l’allarme suicidi sull’isola, bambini che per la disperazione, per le ferite fisiche ma soprattutto psicologiche, arrivano ad uccidersi o farsi del male.

Una condizione inaccettabile che non riguarda solo Lesbo, molte isole greche sono diventate prigioni a cielo aperto. Circa 18.500 richiedenti asilo risiedono nelle isole dell’Egeo, di cui bambini e ragazzi rappresentano il 27% e tra loro quasi 7 su 10 hanno meno di 12 anni.

La Grecia è stata lasciata sola a gestire la situazione, strozzata dagli equilibri politici, sono infatti, le istituzioni dell’Unione Europea che in Grecia  dal 2015 hanno costruito un confine per migranti e rifugiati indesiderati.

Gli appelli e le richieste di intervento da parte di molti esponenti della cultura e della politica non sono sufficienti per far si che si agisca concretamente. Nel 2016  lo stesso Papa Francesco si è recato a Lesbo, proprio al fine di fare luce su questa situazione vergognosa. Tuttavia la comunità internazionale non si è sentita investita dall’emergenza umanitaria, da allora, nuovi campi, nuove tende, nuovi spazi che servono a limitare le problematiche di sopravvivenza nei campi profughi, ma nessun intervento reale per risolvere  il problema in modo strutturale.

Creare zone in cui confinare i migranti che fuggono da una condizione di povertà assoluta, dalle guerre,  relegandoli a vivere la stessa situazione, privandoli della libertà e del diritto a vivere con dignità appare più che altro un tentativo di nascondere il problema. 

Le politiche per la migrazione necessitano di un cambio radicale, l’obiettivo non può essere quello di tamponare l’emergenza trasformando i centri di primo soccorso in luoghi di perenne esilio.

Lesbo andrebbe evacuata, servono interventi degli stati europei per ricollocare le migliaia di persone che da anni vivono confinate nei campi, creare prospettive di emancipazione dalla condizione di profugo indesiderato, attraverso azioni a lungo termine. Bisogna assumersi la responsabilità civile come individui e come collettività.

Perché nel 2021 è intollerabile pensare che chi sopravvive all’inferno finisca col viverci ancora e ancora.

di Susi Ciolella

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