L’attivista egiziana Sanaa Seif è libera ma la prigione resta ancora ad un passo

Parla dopo il suo rilascio la giovane attivista egiziana che insieme al fratello, il noto e perseguitato blogger Alaa Abd El-Fattah, sfida il regime di al-Sisi con la battaglia per il rispetto dei diritti umani. «Sono stata arrestata la prima volta nel 2014. Fu un grande shock in famiglia, perché ero la più piccola e la meno coinvolta nella politica. E nei giorni che hanno preceduto la scarcerazione ero davvero in ansia. Avrei dovuto essere euforica ed entusiasta, gioiosa ed esultante all’idea di tornare libera, ma non avevo la certezza di uscire. Altre persone nelle mie stesse condizioni, poco prima di uscire sono state accusate di ulteriori reati con il conseguente slittamento in avanti sia dei processi che delle pene».

Sanaa Seif, 28 anni, rilasciata lo scorso 23 dicembre dal carcere femminile di Al Qanater El Khayereya, a nord del Cairo, racconta così le ore immediatamente precedenti al suo ritorno in libertà. Libertà sopraggiunta dopo aver scontato per intero la condanna a 18 mesi per «divulgazione di notizie false tramite i social media» e «offesa a un pubblico ufficiale».

Raggiunta telefonicamente nell’abitazione della capitale egiziana racconta: «Non ero certa che sarei stata davvero liberata, perché all’inizio delle indagini tra i vari capi di accusa che mi notificarono, ne spiccavano due per terrorismo. Quando sono arrivata in tribunale queste accuse non c’erano più, non perché decadute, ma semplicemente sospese. Ciò significava che le imputazioni esistevano ancora e se avessero voluto riprenderle in mano, avrebbero potuto farlo. In via non ufficiale mi hanno detto che ancora pendevano su di me, per ricordarmi che la prigione è sempre a un passo, per allontanare in me la speranza di una detenzione che per quanto lunga un giorno avrebbe visto la mia scarcerazione. Giocano anche su questo, sull’annientamento psicologico, la devastazione emotiva, l’angoscia di una vita da trascorrere in carcere, un vita sottratta perché io lì dentro ci sono rimasta un anno e mezzo».

L’arresto, avvenuto il 23 giugno 2020 da parte di poliziotti in borghese, mentre si recava in procura per denunciare una rapina e un’aggressione fisica subita la notte precedente durante un sit-in in favore del fratello – nonché attivista di spicco – Alaa Abd El-Fattah, è il terzo per Seif, ritrovatasi suo malgrado sin da giovanissima ad impegnarsi nello stesso percorso intrapreso da tutta la famiglia: la madre Laila Soueif, docente universitaria e militante per i diritti delle donne, il padre Ahmed Seif El-Islam avvocato attivo sin dagli anni settanta, la sorella Mona e il fratello Alaa, attualmente in carcere dopo l’ennesima condanna a 5 anni.

Così anche Seif si è gettata con tutte le sue forze nella ricerca di un senso di giustizia a metà tra le vicende personali e quelle collettive. Quando venne arrestata la prima volta nel 2014 è stato un trauma per lei e tutta la famiglia. Era la più piccola, la meno coinvolta politicamente e visse questo percorso come chi ha la consapevolezza di non avere più speranza per la vita.

Quello con il fratello è sempre stato un rapporto importante, significativo, essenziale a metà tra relazione familiare, mutuo supporto e complicità politica. E’ stato l’innesco dell’attivismo reale per Sanaa Seif la quale, grazie a una costante e continua presenza sui social media, è diventata una delle voci dissenzienti dell’Egitto contemporaneo.

Come tanti altri media attivisti, Sanaa Seif rimane critica sulla situazione attuale dei diritti umani in Egitto.

Non a caso la richiesta espressa da 175 eurodeputati e parlamentari di 14 diversi Paesi in una lettera congiunta inviata ai ministri degli Esteri e agli ambasciatori presso il Consiglio per diritti umani dell’Onu, è stata quella di istituire un meccanismo di monitoraggio dei diritti umani in Egitto da parte delle Nazioni Unite. I firmatari, hanno sottolineato di essere “estremamente preoccupati per la continua incapacità da parte della comunità internazionale di intraprendere qualsiasi azione significativa per far fronte alla crisi dei diritti umani in Egitto. Tale atteggiamento, insieme al continuo sostegno al governo egiziano ed alla riluttanza perfino solo a denunciarne gli abusi pervasivi, hanno solo rafforzato il senso di impunità delle autorità egiziane”, spiegano gli eurodeputati nella lettera.

Serve dunque un netto cambio di atteggiamento che utilizzi tutte le leve a disposizione per allentare il livello di oppressione a cui è sottoposto oggi il popolo egiziano e forse qualcosa si sta muovendo.

di Stefania Lastoria