Jusqu’ici tout va bien

«Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: “Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene.” Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio.»

In una Parigi messa a ferro e fuoco dagli scontri tra polizia e manifestanti, Vinz, Hubert e Said continuano a trascorrere le giornate isolati nella loro banlieue, toccando con mano la realtà solo quando un loro amico viene aggredito da un poliziotto, aggressione che lo porta in fin di vita.
La rabbia è tanta, la voglia di vendetta non manca, la testa per pensare però sembra averla solo Hubert, il quale si ritrova spesso e volentieri a dover sedare lo spirito irruente e assetato di sangue di Vinz.
Stessa sete di sangue che porta Vinz a raccogliere una pistola lasciata in terra da un poliziotto.

I tre ragazzi, per quanto cerchino di difendersi dalle minacce esterne con un atteggiamento da duri, Vinz fa addirittura le prove con la pistola davanti allo specchio imitando De Niro in Taxi Driver, dentro sentono un’incertezza, una fragilità che alle volte li fa vacillare.
Per tutta la durata della pellicola viene affrontato il tema dell’odio.
L’odio in quanto miccia, l’odio come mezzo di comunicazione e proprio nel finale è possibile vedere come l’odio sia difficile da spegnere, come, nonostante una parte si sia placata, l’altra continui a cercare un colpevole.
Questa caccia al colpevole porterà all’uccisione di Vinz proprio nell’istante in cui aveva capito l’inutilità del suo gesto, nel momento della sua redenzione.

Un pugno nello stomaco che serve a denunciare le violenze perpetrate dalla Polizia, fondamentale per comprendere quanto pericolosa possa essere l’autonomia del singolo, una volta che è schierato dal lato “giusto”.
Chissà cosa succederebbe se al posto della pistola, ci fosse un manganello…
E chissà se quella che si vede nello sfondo degli scontri, non fosse la torre Eiffel, ma quella di Pisa…

Probabilmente ci ritroveremmo in una società che non ha capito niente dagli errori del passato, in uno Stato che continua a proteggere i forti e a vessare i più deboli.
Ho guardato le facce di chi è sceso in piazza a manifestare per la fine di un genocidio ancora in atto, e non ho visto alcun mostro, non ho visto milizie di dissidenti armati fino ai denti.
Ho visto studenti e professori, ragazzi e adulti, ho visto persone, il cui arsenale è limitato alla propria voce.
Ho visto anche l’altro lato coinvolto nella vicenda e purtroppo, di fronte a chi canta e grida per un mondo di pace, quest’ultimo ha pensato che fosse corretto caricare e sferrare colpi, indistintamente.
Ho visto il ghigno di chi stava abusando del proprio potere, ho visto la cattiveria con cui quei manganelli venivano impugnati, ho visto la sicurezza di chi sa di essere impunito.

Se una cosa si può imparare da La Haine è che l’odio genera nient’altro che odio, e che esistono migliaia di sfaccettature, dal poliziotto che cerca di aiutare i tre protagonisti a quello che li va a cercare armato di pistola, da chi si appropria di una causa per usare la violenza, a chi invece viene massacrato per credere in un’ideale di pace ed uguaglianza.

In un mondo di Vinz, cerchiamo di comportarci da Hubert, non restiamo indifferenti, ma non cadiamo nell’inganno dell’odio, che è sempre in attesa dietro l’angolo.

Luca Baldi

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