Il destino di guerra dell’Occidente contro se stesso

L’Oriente è ancora qualcosa di più che una dimensione geografica? È una civiltà, una cultura, un’ideologia, una Weltanschauung, ossia una visione, un’immagine, una concezione del mondo? Se guardiamo alla sua superficie cromatica dei suoi miti, riti, credi, usi, costumi e alimenti potremmo rispondere di sì. Se però si guarda al suo moto economico, produttivo, massmediatico, dei consumi, dei bisogni e desideri, non si può che rispondere di no. Anche in terre e latitudini lontane dal suo assetto sociale e politico l’Occidente si è radicato dentro l’Oriente, imponendo il suo ritmo e la sua direzione di marcia. Anzi, è proprio tale distanza a misurare la forza del radicamento: tanto più grande la lontananza culturale, tanto più risalta l’affermazione egemonica dell’Occidente. Ogni più lontana periferia del mondo è un proseguimento dell’Occidente sotto altri cieli e praterie del mercato da cui estrarre profitto.

Perciò ogni moto di contrasto “antioccidentale” non parte che dal suo interno, avendo ormai questo interno inglobato tutto l’esterno possibile. Anche chi contrappone all’Occidente valori antioccidentali lo fa ricorrendo a mezzi e tecniche che l’Occidente ha prodotto nell’epoca del suo maggior sviluppo sociale, culturale e scientifico.

La Cina, che definiamo dall’epoca di Marco Polo l’emblema più alto dell’Oriente, si è in tutto per tutto occidentalizzata. Anzi il vecchio inno maoista L’Oriente è rosso – cui si aggiungeva: l’Occidente lo sarà! – si è completamente rovesciato. Anche l’altro detto maoista rosso ed esperto è stato troncato della sua prima parte e ridotto solo a esperto: il Comitato Permanente dell’Ufficio Politico del Partito Comunista Cinese è oggi un’alta tecnocratica, composta solo da laureati in discipline ingegneristiche. La Cina è ormai Turbo-Occidente, senza più neanche il logoro ingombro della democrazia: non ci pensa proprio più a essere anti-occidentale, anzi, aspira essa a essere il nuovo vero Occidente e usa tutta la sua forza geo-politico-economica per esserlo pienamente. Il fatto poi che la Cina – pur con consistenti minoranze cattoliche, islamiche e buddiste – sia un subcontinente fondamentalmente ateo spiega ancora meglio il suo rapidissimo e pieno passaggio dall’esterno all’interno dell’Occidente.

L’esterno inglobato, globalizzato si trova a convertire così tutta la sua immane ex superficie geo-umana in interno. Un nuovo interno che eccede quello dell’epoca Otto-novecentesca tramontata. Questa eccedenza bio-geografica totalmente fattasi interno, tende essa ora a inglobare quel precedente interno euro-americano, limitato alle due sponde dell’Oceano Atlantico. La miseria dell’ex superficie esterna eccede la ricchezza economica e la potenza tecnica del vecchio interno occidentale. Già questa eccedenza – da sola – crea un fenomeno simile allo spostamento di una zolla geologica continentale.

La tramutazione da esterno a interno comporta però, soprattutto l’inoculazione di ciò che è alla radice prima dell’Occidente, ossia il polemos, la guerra. Lascia scritto Eraclito – uno dei primi grandiosi pensatori greci –: “Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re”. La filosofia greca del VI secolo A. C., fondando la civiltà europea, è influenzata nella sua prima fase – attraverso le colonie elleniche in Asia Minore – dal pensiero mistico orientale, ma proprio da questo essa si stacca drasticamente attraverso l’ontologia, ossia lo studio dell’essere, come fondamento di tutta la realtà materiale e spirituale, del corpo come dell’anima. Dove il pensiero orientale concepisce la realtà come impermanente illusione, quello ontologico greco divide il reale in due grandi campi esistenziali: l’essere e il nulla. Ciò che è può essere ricondotto al nulla, e dal nulla si può suscitare qualcosa che prima non c’era. Una cosa, uno stato di cose, delle situazioni fattuali si possono annullare, ossia riportare al nulla, distruggere, così come si possono creare dal nulla. Questa la radice del polemos, della forza, violenza, prepotenza, pretesa dell’agire tecnico per la trasformazione, distruzione e creazione di uno stato di cose dell’Occidente. Distruzione-trasformazione-creazione ai fini del proprio dominio, al costo anche della distruzione della natura e dell’uomo stesso che di essa è parte e di essa si alimenta.

Si compie così un percorso storico inverso: se all’origine è l’Occidente che fuoriesce dall’Oriente, è ora questo che si riversa nel primo. Se l’Oriente – come scrive il filosofo contemporaneo Emanuele Severino – è la preistoria dell’Occidente, ora possiamo dire che l’Occidente si connota come la post-storia dell’Oriente. Il polemos, la guerra come strumento del dominio occidentale sulla Terra e sul tempo, non avendo più a disposizione spazio di espansione esterno a sé, non può che invertire la direzione e procedere dal proprio divorato fuori al proprio divorante dentro.

Siccome – continua l’aforisma di Eraclito sul polemos – “Gli uni li disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni li fa schiavi gli altri liberi”, ecco che nessuno che sta ormai dentro vorrà stare più fuori il paradiso della ricchezza e della potenza tecnica occidentale. Gli abitatori dell’Occidente non saranno più distinti per la superficie cromatica dei loro miti, riti, credi, usi, costumi e alimenti ma per chi si impossesserà con il polemos dell’Eden e meglio lo realizzerà.

di Riccardo Tavani

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