Il calcio malato e la denuncia di Filippo
Si possono appendere gli scarpini al chiodo perché il fisico non regge più, perché sono finiti gli stimoli oppure perché gli infortuni ti hanno mangiato le gambe.
Ma si può smettere di giocare a calcio anche prima di cominciare davvero. Anche a diciannove anni. È quanto ha deciso Filippo Cardarelli, calciatore classe 1998 delle giovanili della Lazio. “Dopo 10 anni di sacrificio ho deciso di lasciare il calcio. Voglio solo precisare di non aver avuto alcun problema con l’allenatore, lascio perchè questo non è più lo sport di cui mi sono innamorato da bambino”.
Queste le parole con cui il ragazzo si è sfogato su Facebook. Addio al calcio, testa alla maturità e poi negli Stati Uniti. Per il college e per la MLS, la massima serie di calcio americana. “La Serie A è piena di stranieri ed il calcio per gli italiani è morto. Sinceramente se devo essere trattato come uno straniero in patria preferisco andarmene. Forse negli USA il calcio è anni luce indietro, ma almeno hanno un briciolo di dignità quello che non abbiamo no”.
Una denuncia che ha riacceso i riflettori su un grande problema del calcio italiano: la crisi dei vivai, l’esplosione dello scouting e il poco spazio per i talenti nostrani. Un fenomeno che si ripercuote direttamente sul campo. Nell’ultima giornata di campionato su 220 giocatori schierati titolari appena 80 erano italiani. La più azzurra è il Sassuolo, le più internazionali Udinese, Inter e Napoli.
Sono finite le generazioni dei Totti e dei Del Piero. I settori giovanili non fanno più uscire calciatori, ci si concentra di più sugli osservatori, sparsi in tutto il mondo, specie in Brasile o in Argentina, alla ricerca dall’affare. Lo dimostra una nazionale spenta, sterile, con poco ricambio e altrettanto poco talento.
“Ci sono 100 storie diverse di altri ragazzi ‘abbandonati’ dalle società al loro destino, giovani illusi di poter essere calciatori e lasciati per strada così di punto in bianco. Io il mio passo l’ho fatto, aspettiamo di vedere reazioni”.
di Lamberto Rinaldi