Moscerini

“Non solo in salita, ma anche in discesa la mia forza di volontà si spegne. Più scendo, meno importante mi appare la meta, più mi sento indifferente verso me stesso. L’attenzione ha ceduto, la memoria è indebolita. La spossatezza mentale è ora ancora più grande di quella fisica.  Così piacevole è starsene seduti senza fare nulla e per questo è tanto pericoloso. La morte per sfinimento, come quella per congelamento, è una morte piacevole.

Reinohold Messner

Orizzonti di Ghiaccio

Non ve li voglio nemmeno contare i decessi cui abbiamo assistito nello scorso mese di Maggio nel tentativo di arrivare in vetta. Monte Everest, 8848 metri sopra il livello del mare. Tetto del mondo. Mi fa anche amaramente sorridere scrivere “tetto”, quando un tetto rappresenterà nell’immaginario collettivo un riparo, un rifugio, una sicurezza. Nient’affatto quando questo riparo è situazione nella zona della morte.

Non ve li voglio nemmeno contare tutti quei morti perché rischiano di rimanere nella memoria dei posteri solo come numeri.Soli come numeri primi o ultimi di una lunga fila di attesa a vertiginose pendenze, stanchezze, sofferenze.

Mi voglio invece soffermare sul principio e sul significato di perdere la vita perché in attesa, perché in troppi a salire, a frotte di 200 scalatori per volta, oltre la zona della morte, oltre i 7900 metri di altitudine, tra il Campo Quattro e l’Hillary Step.

Abbiamo assistito a immagini raccapriccianti, una su tutte, copertina di questo articolo, nella quale gli ultimi 100mt del monte Everest sembrano più una scala mobile di uno dei tanti centri commerciali in pieno prefestivo, che il luogo invece dove raggiungere il più alto grado di contemplazione del creato.

Non si può più rispondere a tutto ciò con distaccato capitalismo: “70 mila dollari circa per salire e vuoi non tantare il tutto per il tutto?”, o anche: “paghi e vuoi arrivare in vetta costi quel che costi” o più chiaramente: “ci sono un miriade di interessi da parte delle compagnie turistiche nel portare il numero maggiore di clienti in vetta”.

Se di memoria corta, vi suggerisco di rileggere Aria sottile di Non Krakauer, per capire meglio cosa voglia dire perdere la vita in una spedizione sul Monte Everest. O se si è fortunati, cosa voglia dire far parte dei sopravvissuti.

Dopo questo Maggio si affievolisce in me ogni desiderio di scalare un giorno il Gigante dei sogni. Si sta perdendo tutto. Soprattutto la dignità della disciplina stessa.

Attribuisco allora un valore inestimabile alle mie uscite a due ore da casa, sugli appennini, sul Gran Sasso, nella solitudine delle prime ore del mattino, in attesa di un’alba a rischiarare il sentiero e a riscaldare i miei scarponi mentre assestano passi decisi uno dopo l’altro. A non più di quindici metri un paio di amici nei quali riporre cieca fiducia.

Recuperare il senso di quello che facciamo è l’obiettivo di questo nuovo capitolo della storia dell’alpinismo. Passo dopo passo.

di Riccardo Battista