Destra e tetto di cristallo

Tetto di cristallo: impedimento invisibile, perché non dichiarato, ma pervicacemente attuato contro le donne italiane per non farle assurgere alle due massime cariche dello Stato, quali la presidenza della Repubblica e quella del Consiglio. Per quest’ultima carica il cristallo sembra essere in procinto di essere frantumato da Giorgia Meloni, grazie alla sua indiscutibile vittoria elettorale. La particolarità del raggiungimento di tale primato è che si tratta di una donna di destra, poco o niente propensa al femminismo, alla guida di un partito guidato soprattutto da uomini conservatori e per lo più maschilisti. Mentre nel campo progressista, di centro sinistra e liberal-democratico, la supremazia maschile è inscalfibile, nonostante i proclami retorico-programmatici a favore delle donne.

Lo dimostrano anche le varie analisi dei flussi elettorali che via via cominciano a precisarsi. Quelle di YouTrend mostrano bene anche la composizione per genere del voto ai diversi partiti. Per ragioni di spazio dobbiamo limitarci alle due principali forze in competizione: FdI di Giorgia Meloni e Pd di Enrico Letta. Va inoltre premesso che nonostante la percentuale delle donne aventi diritto al voto sia il 52% dell’intero corpo elettorale, proprio tra le loro file si è raggiunto un nuovo record negativo: il 41% dell’astensione è femminile.

Il voto per Fratelli d’Italia è composto per il 26,3% dagli uomini e il 25,7% dalle donne, con una prevalenza della fascia d’età che va dai 35 ai 64 anni. Per il Pd, invece, sono in netta maggioranza gli uomini con il 21%, contro il 16,9% delle donne, per una prevalente fascia d’età oltre i 64 anni. La combinazione tra voto per genere e per fascia d’età mette in luce che siamo in entrambi i casi in un area conservativa, non certo progressiva. Il voto giovanile lo conferma. Solo il 15,4% dei giovani dai 18 ai 24 anni vota per FdI, mentre scendono al 13,5% per il Pd. Salendo alla fascia 25-34 anni abbiamo il 23,1% per FdI e il 15,7% per il Pd.

Questi dati inficiano il primato di Giorgia Meloni allo sfondamento del tetto di cristallo per la Presidenza del Consiglio? Certamente no. Lo pongono, però, in una luce più concreta. Tale primato, infatti, non viene né assunto, né tanto meno proclamato dalla futura premier come slancio rosa al cielo. È la struttura più profonda della realtà, infatti, a restare dominata dal maschile.  

C’è soprattutto un’altra considerazione più abissalmente vertiginosa da fare. Il dominio atavico, la pervicace supremazia del maschile sul femminile sono soltanto la forma storica più diffusa che assume il carattere più autentico del potere. Ossia il determinarsi di una forza, la quale – per proclamarsi tale – ha necessità esistenziale di eleggere una debolezza da schiacciare, sottomettere al proprio dominio e servizio. E tanti, troppi, in ogni epoca e anche nel presente sono gli esempi dei deboli, dei vinti di ieri che divenuti vincitori, forti oggi non fanno che replicare verso altri quello stesso carattere del potere che aveva schiacciato loro. Fabrizio De André lo dice anarchicamente a modo suo nella canzone Nella mia ora di libertà, del 1973: “Certo bisogna farne di strada…/…per diventare così coglione/ da non riuscire più a capire/ che non ci sono poteri buoni”.

Lo sfondamento da parte delle donne, di qualunque donna, dello scandaloso tetto di cristallo, dunque, è giusto, necessario, non più rinviabile. Esso, però, non garantisce di per sé una mutazione della struttura di sopraffazione del potere. E lo dimostrano proprio le tante, celebri donne – da Margareth Thatcher, Indira Gandhi, Golda Meir – che quel tetto nel mondo lo hanno infranto addirittura nel secolo passato, lasciando non solo immutato, ma a volte rafforzando il meccanismo della forza di elezione, proclamazione, schiacciamento di una debolezza da sottomettere e sfruttare. L’esempio forse più eclatante è quello della leader birmana Aung San Suu Kyi. Perseguita, incarcerata, confinata per oltre vent’anni dal potere dittatoriale militare, riesce a vincere le elezione nel 2015 e diventare la guida di un nuovo indirizzo democratico. Il suo governo, però, non risparmia e anzi accentua tutto quello che lei e altri oppositori avevano subito, verso delle minoranze etniche, tra cui quella dei Rohingya, contro cui furono commessi massacri efferati e autentici genocidi. Oggi Aung San Suu Kyi è tornata a essere cecamente perseguitata e incarcerata da una nuova giunta golpista militare.

In questo ciò che affonda nel sottosuolo del folle delirio di potenza sulle donne e sul mondo è riuscito sempre a riprodursi, al di là di epoche, generi, opere e giorni. È verso una vera, più estesa giustizia, al contrario, che il femminile – proprio in quanto debolezza atavicamente eletta dal maschile – testimonia in sé il superamento d’ogni fatidico tetto di dominio esistenziale.

di Riccardo Tavani