C’è del marcio in Danimarca

Francesca Scarin, giovane ragazza di Allumiere, politicamente e socialmente impegnata, comunista, ha postato su Facebook un passo dell’Amleto di Shakespeare, quello in cui lo stesso Amleto, dopo un colloquio rivelatore con il fantasma del padre, si trova a interloquire con Orazio e Marcello in merito alla possibile esistenza o meno di forme metafisiche ed immateriali oltre la morte. Si apre una sorta di “dibattito” che spazia dal materialismo e dal razionalismo di Orazio alla convinta fiducia di Marcello sulle rivelazioni del fantasma (quella fiducia che lo porterà a dire “C’è del marcio in Danimarca”) al possibilismo di Amleto che, essendo credente, manifesta la sua intenzione di ritirarsi in preghiera e che, in risposta allo scetticismo del suo amico, pronuncerà quello che rimarrà per sempre uno degli aforismi più celebri: “Ci sono più cose in cielo e in terra , Orazio, di quante ne possa sognare la tua filosofia”.

Bene ha fatto Francesca a rammentare a tutti noi che il nostro orizzonte, pur se in alcuni casi ampliato dalla speculazione filosofica, resta limitato al nostro umile campo visivo ed al grado e livello delle nostre conoscenze che, pur avendo superato le Colonne d’Ercole, sono ancora ben lontane dallo scoprire i segreti dell’Universo  e, approfittando della non frequente occasione che la discussione mi offre, vorrei personalmente e pubblicamente ringraziarla per aver dapprima intuita e poi tenacemente perseguita la necessità della costituzione anche ad Allumiere della sede della Associazione Nazionale Partigiani d’Italia.

Ma, ritornando ad Amleto, credo si renda indispensabile alzare, almeno per un attimo, il nostro sguardo e lanciarlo oltre l’ovvio, oltre il quotidiano ed anche oltre una acritica visione del mondo e della nostra storia di popolo cresciuto tra faggi, castagni, corbezzoli, cerri e querce per proiettarci ancora, così come ci hanno insegnato la nostra genesi antropologica e le nostre multiregionali origini, verso la creazione di una società che guarda al futuro e che non smette di chiedersi chi siamo, da dove veniamo e dove stiamo andando. È pur vero che per guardare al futuro, secondo un concetto ampiamente entrato nella nostra coscienza di contemporanei, non dobbiamo dimenticare il nostro passato e da esso dobbiamo trarre la consapevolezza del nostro essere donne e uomini che vivono il presente avendo la forte volontà di vivere il futuro, ma dobbiamo essere capaci, pur se ogni tanto animati da spirito godereccio e da un anelito giocherellone e goliardico, di guardare la vera storia recente del nostro essere figli di questo paese. Ci accorgeremmo che questo è un paese che nel 1922 vide cacciare dai fascisti un Sindaco, un socialista, Marino Marini, liberamente e democraticamente eletto dal popolo allumierasco, così come a Tolfa il popolo aveva eletto Sindaco Tullio Valentini, anche lui socialista ed anche lui scacciato dai fascisti coperti dal potere regio. Ci accorgeremmo poi che venti anni dopo la riconquista della libertà, nel 1964, fu eletto un Sindaco, Riccardo Rinaldi, anche lui socialista, che non va ricordato solo per aver introdotto il Palio (pur essendosi rivelata una intuizione geniale e che ha permeato la storia locale di oltre mezzo secolo, rivelandosi foriero di aggregazione sociale e di sviluppo economico) ma andrebbe soprattutto ricordato per aver riportato a dignità democratica la vita amministrativa di Allumiere.

Sarebbe auspicabile che a Marino Marini, che peraltro fu nuovamente eletto Sindaco nel marzo del 1946, fosse concesso l’onore postumo di avere una via a lui dedicata.

Insieme a lui andrebbero realmente, concretamente e materialmente ricordati coloro che per oltre un decennio, dal 1952 al 1963, lottarono per ristabilire correttezza amministrativa nella gestione del Comune e che andrebbero ringraziati per aver rischiato di persona possibili, pesanti e vendicative sanzioni. Ringraziarli tutti sarebbe impossibile, almeno in questa sede, ma dobbiamo necessariamente ricordare i vari Adamo De Fazi, Renato Galimberti, Ottorino Morbidelli, Alfredo Paolucci, Giulio Mignanti, Alessandro Grosselli, Francesco Mazzafoglia, Romolo Pennesi, Antonio Mellini ed infine, ma non per ultimo, Alessandro Vittori, unico Sindaco comunista di Allumiere. Insieme a loro, dirigenti della locale sezione del P.C.I., lottavano, fianco a fianco, Riccardo Rinaldi, Igino Stefanini e tanti altri dirigenti della locale sezione del PSI, unitamente a tanti altri comunisti, socialisti e democratici locali.

Furono tempi duri, anni difficili, anni in cui bisognava riguadagnare le libertà democratiche raggiunte con la vittoriosa guerra di Liberazione e nuovamente perse in quel decennio in cui fu necessario indossare ancora le famose scarpe rotte ed andare nuovamente a combattere per riconquistare la nostra bella primavera. Una volta il mite e profondo idealista Alfredo Paolucci disse che lui si sentiva tranquillo e pieno di felicità quando guardava il Faggeto e quando sapeva di essere una persona onesta, e quindi inattaccabile. Quella frase altro non era che la visione di una persona per bene, di un comunista che con una profonda semplicità rinvigoriva il pensiero Kantiano: “due cose riempiono l’animo di ammirazione e di venerazione sempre nuova e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me”.

Quegli uomini, quella nuova umanità riportarono dignità in un paese nel quale si lavorava solo se si era in linea con il pensiero del capo e dove i licenziamenti dal posto di lavoro venivano richiesti e pilotati dal potere, dove nessuno aveva il coraggio di opporsi, se non quelli ai quali dovremmo pure, una volta per tutte, riconoscere i meriti nella crescita sociale, civile ed economica di Allumiere. Anche perché la democrazia e gli aneliti all’uguaglianza, se non opportunamente esercitati e reiterati nel nostro agire quotidiano, ci portano sì a predicare l’uguaglianza ma a volerla solo con chi è più ricco e potente di noi. Si rischia di dare credito e corpo al detto di Marcello, l’amico di Amleto, quando afferma che c’è del marcio in Danimarca e di perdere di vista il vero senso delle cose, di smarrire il nostro essere parte sensibile dell’universo. Sarà solo una energica presa di coscienza, pur se inframezzata da momenti di assoluto svago e divertimento, a farci capire se c’è, come realmente c’è, del marcio che ci circonda. 

Pietro Lucidi

 

 

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